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Alfio e Clara tra Italia e Usa e le altre vite spezzate dal Covid durante la presidenza Trump

SALUZZO

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PIERCARLO BARALE - Nella tarda serata del giorno del giuramento del presidente Biden e della vice Harris mi sono collegato telefonicamente con Ada, insegnante di spagnolo emigrata a San Francisco da Busca, in provincia di Cuneo, negli anni ’55 del secolo scorso. Era ed è stata la migliore amica di mia moglie, con la quale ha sempre intrattenuto rapporti epistolari e telefonici. Il giorno in cui Mariangela morì, pervenne una lettera di Ada, che non poté più essere letta e condivisa. Dopo tale evento, ho mantenuto rapporti telefonici costanti con Ada. Con particolare intensità a partire dalla presidenza Trump, mal sopportato e mai accettato dai californiani, compresa la numerosa presenza italiana.

Non appena proclamato presidente, Biden ha firmato 17 ordini esecutivi - decreti presidenziali - fra i quali l’obbligo di indossare le mascherine, attuare distanziamenti; l’impegno a vaccinare cento milioni di americani in cento giorni; svariati provvedimenti contro l’impoverimento generale, la disoccupazione; lo stop al muro al confine con il Messico; lo stop all’oleodotto proveniente dall’Alaska; lo stop al divieto di ingresso degli islamici ed alla separazione forzata tra figli di immigrati e genitori. Il disinteresse incosciente di Trump per le conseguenze del Covid ha provocato finora 400 mila vittime, disoccupazione e povertà.

Ada mi ha riferito di aver perso nei mesi scorsi la sua migliore amica americana, conosciuta fin dai primi anni di residenza a San Francisco: Clara. Giovanissima, si era perdutamente innamorata di Alfio, siciliano attraente, descritto come dolcissimo, educato, sensibile. Si trovava, come prigioniero di guerra, in un campo poco distante, essendo stato catturato a seguito dell’invasione americana in Sicilia. La prigionia nulla aveva a che vedere con quelle patite dai soldati italiani in Germania, Russia, Inghilterra. Negli Usa, che non avevano visto impegnato il territorio in azioni di guerra, i prigionieri venivano nutriti con le razioni - più che abbondanti - destinate all’esercito: carne in scatola, cioccolato, sigarette, con libera uscita giornaliera.

Clara ed Alfio, nonostante le difficoltà linguistiche rimaste insuperate, vissero una stagione indimenticabile di vicinanza ed affetti. Quando la guerra ebbe termine, Clara propose ad Alfio di sposarla e restare in America con lei. La risposta fu inaspettatamente negativa e venne così spiegata da Alfio. Sin da ragazzo, con una cerimonia consueta in Sicilia e nell’intero meridione, era stato promesso sposo a Concetta, ragazzina di qualche anno più giovane, appartenente ad una famiglia del paese, agiata e benestante come la propria. Non solo, ma al momento dell’imbarco per la prigionia americana, Alfio aveva rinnovato la promessa, con una sorta di fidanzamento urgente, privo di formalismo e delle relative consuete cerimonie che vedevano la partecipazione di ambedue le famiglie. Ad ogni effetto quindi Alfio, quale promesso sposo di Concetta, non avrebbe potuto, senza trasgredire la promessa, sposare Clara. Neppure l’intervenuto amore travolgente, successivo all’impegno, poté modificare l’efficacia delle tradizioni, la cui trasgressione avrebbe certamente provocato liti familiari di portata imprevedibile.

Ambedue - Alfio e Clara - continuarono, per tutta la vita, a scriversi. Ada traduceva per Clara le lettere in italiano provenienti da Alfio e le risposte che Clara scriveva in inglese. Ambedue ebbero figli e nipoti da altro marito e altra moglie e vissero la loro esistenza, senza però dimenticarsi, con la condivisione di un amore platonico. Ada accompagnò negli anni 2000 Clara da Alfio. Furono ospitate in un confortevole fabbricato e ben accolte dai familiari. Fu poi la volta di Alfio, che venne, accompagnato dai familiari, a San Francisco, ospite di Clara e dei suoi familiari. Ambedue morirono nello scorso anno. Fu soltanto il Covid, che agendo come killer nelle due parti di mondo dove abitavano nelle vittime, a spezzare il grande amore che li tenne uniti per tutta la vita.

Nella California, che soffriva l’incompetenza trumpiana, stigmatizzata in modo clamoroso dall’ex governatore Arnold Schwarzenegger; la sensazione è ora della cessazione di un incubo. Lo Stato più dinamico dell’Unione si era visto imporre provvedimenti di retroguardia ambientale, di ignoranza istituzionalizzata, di razzismo, di mancato rispetto delle minoranze. Dopo l’assalto al Campidoglio, provocato ed istigato da Trump, la coscienza dell’America, addormentata, sedata, ipnotizzata, bloccata, è stata risvegliata. Il difetto di democrazia a carico di troppi americani - la scarsa affluenza alle consultazioni elettorali - ha prodotto i mostri generati dal sonno della ragione. Soprattutto i latinos, i neri, gli asiatici, con la loro abitudine a non partecipare alle consultazioni, esercitando i loro diritti e doveri, hanno consentito ai suprematisti del centro e del sud ancora razzista - che invece alle elezioni partecipano - di gestire la Casa Bianca.

La strada tracciata da Obama, a causa della trascuratezza dei poveri e deboli ad andare ai seggi, si era interrotta con la vittoria del venditore di tappeti, già fallito come imprenditore, che pensava di ripetere il quadriennio come padrone del Paese. Se fonderà un suo partito, spianerà la strada ai repubblicani a votare per l’impeachment, già deciso dai democratici. Un suo partito lo porrebbe in contrasto con l’ex partito. Se l’impeachment andrà in porto, a Trump sarà vietato, a vita, di assumere cariche pubbliche. La parabola trumpiana pare essere arrivata ad un capolinea definitivo. L’uomo solo al comando non è più stato digerito dai cittadini ragionanti e dai rinsaviti latinos e neri recatisi questa volta in massa alle urne. L’America è tornata e Trump è partito. Come la stragrande maggioranza degli americani, ne sono anch’io lieto. Lo attendevo da tempo e non ne avevo fatto mistero.

Piercarlo Barale

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