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A Roccavione quel diario ritrovato di mio padre costretto a costruire U-Boot dai nazisti

MONTAGNA

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IVO CALDERA - La storia degli Imi (internati militari italiani) è rimasta quasi sconosciuta per decenni e questo lascia veramente sconcertati. Dopo l'8 settembre 1943, circa 800 mila soldati italiani furono catturati dall'alleato tedesco e deportati in Germania o nelle zone controllate dal Reich. La cattura dei militari italiani era stata organizzata dal Führer fin dal maggio del '43, con la preparazione dell'operazione Achse, un piano tedesco per controbattere un'eventuale uscita dell'Italia dall'Asse e neutralizzare le sue forze armate schierate nei vari teatri bellici.

È tristemente nota la tragedia di Cefalonia, dove la divisione Acqui si rifiutò di consegnarsi ai tedeschi, ma fu sopraffatta: dopo la resa il generale Gandin, circa 400 ufficiali e tra 4000 e 5000 soldati furono fucilati dai tedeschi per rappresaglia. La maggior parte dei soldati fu invece catturata, spesso con l'inganno, e deportata. I numeri dell'operazione Operazione Achse sono impressionanti:

Soldati italiani disarmati e catturati dai tedeschi dopo l'8 settembre

Italia settentrionale 415.682
Italia centromeridionale 102.340
Francia 8.722
Balcani 164.986
Grecia, isole dell'Egeo 265.000
Totale 1.006.730

Armi e materiali sottratti dai tedeschi al Regio Esercito dopo l'8 settembre

Fucili 1.285.871
Mitragliatrici 39.007
Moschetti automatici 13.906
Mortai 8.736
Cannoni contraerei e controcarro 2.754
Pezzi di artiglieria 5.568
Automezzi 16.631
Mezzi corazzati 977

La quasi totalità degli internati si rifiutò di collaborare prima con le divisioni tedesche della Wehrmacht e successivamente con la Repubblica Sociale Italiana (Rsi), dopo la liberazione di Mussolini sul Gran Sasso. Per questo furono detenuti nei lager tedeschi per un periodo che durò fino alla fine della guerra, sottoposti al lavoro coatto, in condizioni di vita disumane. Hitler aveva un disperato bisogno di forza lavoro da impiegare nelle fabbriche tedesche per sostenere lo sforzo bellico e, in violazione alla Convenzione di Ginevra, che vietava di impiegare i prigionieri di guerra nella produzione bellica, utilizzò gli Imi per questo scopo.

In un libro di Gerhard Schreiber, pubblicato dall'Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito, vengono stimati in circa 45 mila gli Imi che morirono durante l'internamento, ma si tratta sempre di calcoli approssimativi, che non tengono conto dei numerosissimi malati, che morirono in patria dopo il rientro. Agli Imi fu proposto molte volte di prendere le armi nell'esercito tedesco o in quello della repubblica di Salò. "Aderisco all'idea repubblicana fascista e mi dichiaro volontariamente pronto a combattere con le armi nel costituendo nuovo Esercito italiano del Duce, senza riserve, anche sotto il Comando Supremo tedesco, contro il comune nemico dell'Italia repubblicana fascista del Duce e del Grande Reich Germanico". Questo era il testo della formula di adesione che avrebbe garantito agli Imi il passaporto per tornare in patria, dalla propria famiglia: il loro rifiuto, a costo di patimenti e umiliazioni indicibili, contribuì a contrastare il risorgere del fascismo e aprì, in Italia, la strada della democrazia.

Le vicende degli Imi furono dimenticate dalle istituzioni italiane per lungo tempo, dopo la guerra. Nel 1959 l'esercito italiano, "nell'esprimere i sentimenti di gratitudine dell'esercito", concede agli Imi la croce al merito di guerra, per internamento in Germania "in riconoscimento dei sacrifici sostenuti nell'adempimento del dovere in guerra". Ma è solo nel 1997, quasi 40 anni dopo, che lo stato italiano riconosce il sacrificio degli Imi e concede la medaglia d'oro al valor militare all'Internato Ignoto.

Anch'io, devo ammettere, non sapevo quasi nulla di tutto questo, fino a qualche anno fa. Sapevo che mio padre era stato deportato in Germania durante la guerra: da bambino l'avevo sentito raccontare che, ad Amburgo, i tedeschi lo avevano messo a saldare le torrette degli U-Boot (i famigerati sommergibili tedeschi della seconda guerra mondiale, ndr) allo scafo, con turni di 12 ore: con poco da mangiare e sotto i costanti bombardamenti degli alleati. Vicino all'area Waltershof, dove era ubicato il lager in cui lavorava mio padre, si trovavano due di questi bunker (il Fink II e l'Elbe II), nel quale venivano assemblati gli U-Boot che arrivavano in sezioni costruite in altri siti e trasportate con chiatte sul fiume Elba. Solo nel 2009, dopo la sua morte, ritrovai tra le sue carte una piccola agendina. Con sorpresa scoprii che era il suo diario di due anni di prigionia in Germania. Iniziai a trascriverlo, riscoprendo la storia di quei giorni, i suoi pensieri, i suoi patimenti.

Alcuni passi del diario descrivono i momenti più significativi della sua storia:

09/09/43 - giovedì
Alle ore 3,30 attaccano la caserma; alle 4 sono preso prigioniero; si resta tutto il giorno chiuso in caserma.

15/09/43 - mercoledì
Si parte: siamo circa 2.200. Si fa 10 chilometri a piedi. Alle 14 arriviamo a uno scalo ferroviario e ci caricano in tradotta: si parte alle sette e un quarto.

16/09/43 - giovedì
Si viaggia tutta la notte: siamo 52 per carro; non si può dormire perché siamo pigiati come le sardine. Alle 7 ad una stazione di danno un mescolo di brodo caldo e si riparte. Alle 17 ci danno un pane.

19/09/43 - domenica
Protsken: si arriva alle 1,30 e ci scaricano alle 6; poi ci portano in un campo di concentramento con tutte le baracche di legno; ci mettono dentro in 127 per caduna.

23/09/43 - giovedì
Ore 8 adunata di tutto il campo: siamo circa 4.000. Ci fanno la proposta di chi vuol arruolarsi e combattere nelle sue divisioni SS, ma nessuno si arruola.

18/11/43 - giovedì
Nulla di nuovo. Oggi ho venduto l'anello da dito e ho ricavato pane e cioccolato, così ho potuto togliermi la fame per oggi.

22/11/43 - lunedì
Oggi ho venduto l'orologio, però andando all'adunata mi son ricevuto dalla guardia una baionettata sul gomito, che mi fece un male terribile.

20/06/44 - martedì
Oggi forse ho passato il più brutto giorno della prigionia. Alle 9 ero in baracca e gli apparecchi hanno cominciato a bombardare tutte le fabbriche attorno alla baracca, per diverse volte mi son veduto la morte vicino. Una bomba é caduta a 20 metri dalla baracca ma non ha fatto vittime.

22/03/45
Ore 4 del mattino grosso bombardamento che ha distrutto tutto il lager: é stato pure colpito il (settore) dov'ero io: son salvo per miracolo; son rimasti parecchi morti

Ho ritrovato anche altri documenti e le lettere che aveva scritto dai campi di prigionia a mia madre. Ho subito pensato di raccogliere tutto questo in un libro, perchè la memoria non andasse persa: per mio figlio, per i parenti e per gli amici. Per questo mi sono reso conto che quella vicenda, per essere meglio compresa, doveva essere inserita nel contesto storico del tempo; volevo ritrovare le tracce dei luoghi in cui era stata vissuta; volevo arricchirla con le testimonianze di chi aveva subito la stessa sorte, volevo capire e sapere di più.

Così ho iniziato una ricerca i cui risultati ho voluto raccogliere in questo libro: "Diario di Prigionia 1943-45": dati storici, fotografie dell'epoca, testimonianze. Una ricerca che mi ha permesso di "stare" ancora un po' con mio padre e con mia madre, anche se non ci sono più. Ho completato questo lavoro facendo stampare questo libro in qualche decina di copie, per parenti e ad amici. Ho fatto avere una copia del libro al municipio ed alla biblioteca di Roccavione, dove i miei genitori hanno vissuto per quasi 60 anni, in modo che sia a disposizione di chi lo conosceva ed alle nuove generazioni.

La presentazione del libro si terrà venerdì 2 novembre alle 21, presso la biblioteca di Roccavione, in piazza Don Chesta 4.

Ivo Caldera

 

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