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La difesa con le armi non è sempre legittima: devono accertarlo i giudici, non i politici

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PIERCARLO BARALE - Le accuse formulate dalla Procura della Repubblica di Asti nei confronti del gioielliere di Grinzane Cavour, che ha ucciso due rapinatori ferendone un terzo, nel corso della rapina del 28 aprile, sono pesantissime. Gli elementi acquisiti e le indagini svolte - testimonianze, consulenze, investigazioni, accessi ai luoghi - hanno portato gli inquirenti ad addebitare al gioielliere, che inseguiva i rapinatori fuori dal negozio, due omicidi volontari ed un tentato omicidio volontario. Secondo il procuratore della Repubblica avrebbe ecceduto volontariamente i limiti della legittima difesa patrimoniale. Le azioni delittuose avrebbero avuto lo scopo di impedire ai rapinatori di fuggire con gli oggetti asportati, evitando così di subire un grave danno - circa 69.000 euro.

I rapinatori avevano minacciato e malmenato la moglie e la figlia. Non era la prima, ma l’ultima di una serie di rapine subite. Quella immediatamente precedente - nel 2015 - era stata particolarmente drammatica. Il Roggero venne picchiato, la figlia legata con fascette e la cassaforte svuotata. Si contesta al gioielliere di avere impugnato la pistola, essendo sopraggiunto a rapina in corso, inseguito i banditi in fuga, sparato al torace e alla schiena ai due rapinatori uccisi e ferito il terzo alle gambe. Pare che le circostanze oggettive, lo svolgimento dei fatti e la valutazione giuridica come accertati non possano essere contestati. La rapina c’è stata, i gioielli asportati dai rapinatori usciti dal negozio. Pure l’inseguimento da parte del gioielliere, le due uccisioni ed il ferimento del terzo. Anche la contestazione circa l’illecito utilizzo della pistola legittimamente detenuta nel negozio, al di fuori dello stesso, pare ineccepibile: è fattuale.

Nel processo, ove il gioielliere venga rinviato a giudizio, le circostanze ed i fatti dovranno essere discussi alla presenza dei difensori e delle parti civili che rappresentano i familiari dei rapinatori deceduti e quello ferito. La Meloni - Salvini lo aveva già fatto nell’immediatezza - si è affrettata a dichiarare che la difesa è sempre legittima. Tesi aberrante, che potrebbe portare derubati e rapinati ad uccidere chi sottrae merci in negozio o ladri in fuga dopo aver fatto il pieno, lasciando il distributore di carburante con la pompa di erogazione in mano. Non è così. La difesa non sempre è legittima. Deve essere proporzionata, con qualche eccezione dovuta a situazioni all’interno di abitazioni o attività, sempre però sottoposte alla valutazione del giudice. L’imputazione di omicidio volontario deriva dall’aver colpito al torace ed alla schiena, scaricando l’intero contenuto dell’arma. Inoltre, dall’aver effettuato le azioni contro i rapinatori già usciti dalla gioielleria. Non si trattava quindi di impedire la rapina, ma di recuperare il maltolto nel corso della stessa.

Dall’entità dei colpi indirizzati ad organi vitali non si può desumere né che si tratti di omicidi colposi, né preterintenzionali. Nel primo si punisce con una lieve pena chi provoca la morte di una persona a causa di un comportamento negligente, lasciando ad esempio un interruttore elettrico senza alcuna protezione, provocando la morte di chi intendeva accendere la luce o avviare un macchinario. Mancano la volontà e la previsione di uccidere. Sussiste solo negligenza, come nel lasciare aperta una botola in un passaggio frequentato, nella quale precipita la vittima. Nel secondo, volendo ferire, si uccide. Succede molto spesso. Un pugno, la conseguente caduta e morte della vittima, che urta con il capo il pavimento o il marciapiede. Talvolta avviene a seguito di liti automobilistiche. Nel diverbio conseguente ad un parcheggio o ad una mancata precedenza, l’uccisore provoca lesioni, con conseguente morte imprevista. Talvolta investe con l’auto il rivale, usando il mezzo come una pistola. Se la velocità è elevata ed il mezzo è usato con chiaro intento di uccidere, da preterintenzionale si passa al volontario.

I giudici dovranno accertare nel processo se, sotto il profilo dell’elemento soggettivo dei reati - omicidi volontari - sussiste il dolo. Si dovrà accertare se il gioielliere, nelle condizioni psichiche dovute al gravissimo momento che stava vivendo, il drammatico coinvolgimento dei familiari minacciati, con il raffigurarsi nella mente le precedenti rapine subite, particolarmente l’ultima, abbia voluto effettivamente uccidere, prefiggendosi il raggiungimento di tale risultato. Si dovrà accertare l’esistenza del dolo dell’omicidio, con l’ulteriore accertamento della legittima difesa. Verosimilmente la situazione potrebbe essere inquadrata come tale ed il porto abusivo della pistola all’esterno ritenuta consentito proprio perché necessario per l’esercizio della ritenuta legittima difesa erroneamente considerata tale dal gioielliere. Occorrerà una attenta e completa valutazione dell’effettiva capacità di intendere e volere, nel momento dei fatti addebitati.

Se le azioni poste in atto, nel drammatico momento vissuto dal gioielliere, avessero coperto come un velo la ragionevolezza e la volontarietà delle azioni eseguite non volontariamente ma automaticamente, le conseguenze sarebbero positive per l’accusato, non imputabile. Se si accertasse la mancata raffigurazione della illiceità delle condotte poste in atto dall’imputato e quindi del dolo, si andrebbe verso l’assoluzione, perché i fatti addebitati sussistono, ma non costituiscono reato. In ogni caso, la difesa non è mai legittima a prescindere, anche se lo affermano Meloni e Salvini. Devono accertarlo i giudici, non i politici a caccia di voti. Tali errate valutazioni potrebbero indurre qualche destinatario di cartelle esattoriali indesiderate ad impallinare il postino che imprudentemente si introduce nel cortile per recapitarle.

Piercarlo Barale

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