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L'Europa più umana e unita che ci serve in economia con Trump

ATTUALITà

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MARIO ROSSO - In tanti hanno probabilmente letto sui giornali o sentito in televisione che oggi otto super ricchi possiedono la stessa ricchezza della metà più povera della popolazione del pianeta. Otto persone hanno la stessa ricchezza di altri tre miliardi e 600milioni di persone messe insieme! E non è una bufala.

E’ l’allarmante messaggio del rapporto dell’Oxfam, una Ong britannica attenta all’Economia Sociale che annualmente redige un rapporto sulla ricchezza e la povertà nel mondo in occasione del forum economico di Davos e rinnova ogni anno l’appello ai governi per il perseguimento di quella che definisce “Economia Umana”.

In Italia le cose vanno un po’ meglio, ma neanche troppo: uno striminzito 1% di italiani ricchissimi possiede il 25% dell’intera ricchezza nazionale e quasi il 70% di tale ricchezza è comunque detenuta da appena il 20% di italiani. Significa che di un tavolo apparecchiato per cinque uno su cinque tiene per sé quattro piatti e quattro su cinque devono accontentarsi del piatto rimanente.

Dai rapporti Oxfam, emerge altresì che negli ultimi venti anni il 46% dell’incremento del reddito globale è andato al 10% della popolazione mondiale e in Italia il 45% di incremento del reddito nazionale è andato soltanto a quel 20% più ricco della popolazione italiana (a uno su cinque).

I ricchi sono diventati più ricchi e i poveri più poveri e fra i poveri vi è ormai buona parte della classe media. Vi è stato, dunque, un pauroso aumento delle diseguaglianze a tutto vantaggio dei più ricchi e un generale indebolimento della classe media in tutto il mondo.

Quale la causa? Per Oxfam è il segnale più evidente della sconfitta della globalizzazione.

Quali le conseguenze? Per Oxfam è l’impoverimento di fasce sempre più ampie di popolazione e il loro conseguente spostamento verso l’antipolitica, con la crescente sfiducia nei confronti delle élite politiche viste come colluse con quelle economiche; di qui la Brexit, la vittoria di Trump e di quelli che vengono genericamente definiti “populismi”. E’ certo che la democrazia è a rischio.

Quali i rimedi? Oxfam si batte per un’Economia che definisce Umana, fondata, cioè, su una serie di interventi diretti a ridurre le diseguaglianze, grosso modo:

a) aumento delle imposte sulla ricchezza e sui redditi alti destinando le risorse in servizi pubblici;

b) salari dignitosi e riduzione del divario con gli stipendi dei manager;

c) riduzione del divario retributivo di genere;

d) istituzione di registri obbligatori dei lobbisti e introduzione di regole più severe sul conflitto di interessi;

e) politiche degli Stati che, invece che farsi concorrenza fra loro per attirare gli investimenti delle multinazionali, cooperino per realizzare stesse politiche in materia fiscale e medesimi diritti dei lavoratori, nonché per contrastare gli abusi fiscali delle grandi corporation (lotta ai paradisi fiscali);

f) politiche di incoraggiamento dell’innovazione tecnologica, ma a condizione che vada a beneficio di tutti

g) politiche di promozione delle energie rinnovabili;

h) misurazione della crescita economica non solo attraverso il PIL, ma con attenzione anche ad altri indicatori relativi al benessere dei cittadini.

Buoni, ottimi propositi, ma non basta. In realtà, a giudizio di chi scrive, deve essere colpita l’origine vera di tutti i mali, vale a dire non tanto la globalizzazione in sé, ma la globalizzazione senza regole.

Mi spiego meglio: semplificando, vi sono due tipi di Welfare, il Welfare di tipo anglosassone e il sistema solidaristico dell’Europa continentale. Il primo cerca di curare gli effetti del male, mentre il secondo tenta di andare anche alla causa e la causa è la mancanza di regole alle libertà economiche;

il primo continua a credere nel dogma della assoluta libertà del mercato nella convinzione che possa correggere da solo le proprie storture; il secondo crede nella necessità di porre regole al mercato, perché qualunque libertà, compresa la libertà economica, se non regolata dalla legge, diventa abuso.

La necessità di porre regole alla concorrenza per indirizzare l’economia verso una crescita equilibrata ed evitarne, con azione preventiva, le storture è propria del pensiero economico-politico continentale e non di quello anglosassone, tanto è vero che la “deregulation” (la globalizzazione senza regole) è partita alla fine degli anni '70 del Novecento proprio dal Regno Unito (con la Thatcher) e dagli USA (con Reagan, poi proseguita anche con Clinton).

L’Europa continentale l’ha accettata supinamente dimenticando l’insegnamento della teoria che riassumo nel termine “Solidarismo Giuridico” lasciataci da padri illustri, come fra tutti il nostro Luigi Einaudi, che ebbe a scrivere: per i liberali “bisognerebbe inventare un altro nome” rispetto a quello di “liberisti… per quanto il loro atteggiamento mentale è lontano dal laisser-faire”. Einaudi spiegava che il vero liberale è lontanissimo da coloro che sostengono che “il liberalismo sia sinonimo di assenza dello Stato e di assoluto lasciar fare …”.

La “deregulation” a livello mondiale, l’abolizione del Glass-Steagall Act (la legge finalizzata a controllare la speculazione finanziaria, mediante la separazione tra banche di deposito e banche d’affari) voluti da Stati Uniti e Gran Bretagna hanno consegnato il potere a grandi società e nuovi padroni più potenti degli Stati, in grado di dettare le condizioni per rimanere su un territorio, spostare le sedi delle aziende dove la manodopera costa meno, spolpare e distruggere i territori incuranti di chi ci vive, alterare sistematicamente la concorrenza, dare pieno sfogo alla finanza incontrollata.

Non era certo questo ciò che volevano i Liberali Umanisti, le sinistre democratiche e i Padri Fondatori dell’Unione Europea, che nel dopoguerra hanno contribuito a costruire nei Paesi europei decenni di benessere e di crescita equilibrata, promotori tutti del “Solidarismo Giuridico”, teoria poco nota e trasversale alle varie ideologie che persegue la finalità di porre regole all’economia e di destinare sistematicamente parte della ricchezza prodotta alla creazione di beni di utilità sociale per ridurre le disuguaglianze.

Scendere in piazza e protestare serve a poco. Chiudersi a riccio nel protezionismo nazionale men che mai. Serve, invece, unirsi. La crisi che non vuol finire, le dichiarazioni protezionistiche di Trump, l’uscita del Regno Unito dalla U.E. possono, per assurdo, indurre l’Europa a riprendere il cammino di unificazione interrotto.

Solo un’Unione Europea davvero unita può invertire la marcia, può imporre regole alla concorrenza e ritornare a fare del Solidarismo Giuridico il cardine delle politiche europee, cominciando a correggere la globalizzazione senza regole e ad applicare i principi indicati dalla Oxfam al suo interno prima ancora che nel mondo intero. Gli altri non potranno fare a meno di seguirne l’esempio, perché, ciò che spesso si dimentica, un’Europa davvero unita sarebbe la prima potenza mondiale e dell’Europa non si può fare a meno.

Mario Rosso

 

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