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L'estate in Italia: da Bra all'Isola d'Elba con il cuore colmo di ricordi

BRA

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FIORELLA AVALLE NEMOLIS - Apro un occhio e dalla finestra di camera da letto una luce accecante mi fa sbattere le palpebre. E' il sole che ormai si è alzato: ha appena messo a letto la Luna. E si stira, sroltola i suoi raggi che si aprono pigri al nuovo giorno, ma così splendenti che anche la natura si risveglia: i fiori accolgono le api operose.

L'aria è fresca, energica ed odorsa di frutti maturi sugli alberi. Respiro a pieni polmoni la gioia, merce rara in questo momento di affani e paure miste a rabbia e ribellione. Allora cerco la fonte miracolosa per una ritornata gioia di esistere. Presto, presto, srotolo il mio tappeto volante per una gita speciale, con la stessa trepidazione di quand'ero bimba.

Era un evento. E anche oggi lo è: mi sposterò fuori regione, ormai è concesso. E noi, della provincia di Cuneo, saremmo i bugia nen? Chiamo la mia amica di sempre e per sempre, Luisa Bertello: "Bertello (ci chiamiamo ancora per cognome dai tempi della scuola), preparati, passo a prenderti, si va a fare una gita. Stavolta saremo in due a bordo sul tappeto volante, niente paura, il mezzo è dotato di spiccata intelligenza. Pensa che bellezza, una gita in tutta sicurezza. Niente inquinamento, volo a bassa quota, ottima visibilità e nessuno pericolo di scontri frontali con altri aereomobili. Al massimo, a scorrazzare per i cieli, potremmo incontrare quel furfantello di Aladin".

"Nemolis, ci sto. Si va a fare una gita! Non mi svelare la meta. Mi piace l'avventura e poi un'idea me la sono fatta. Ti conosco mascherina". Eccola, l'amica dalle gonne a pieghe scozzesi verde e blu, classica, ma solo all'apparenza! Non si scompone e sale baldanzosa a bordo.

"Tieniti stretta a me, mi raccomando".

“Nemolis, dovresti sapere che nulla mi spaventa. Ci vuole ben altro!”

Faccio rotta verso la mia "zattera galleggiante" l'Isola d'Elba, in quel di Porto Azzurro, dove sono stata concepita ed ho trascorso le lunghe estati da bimba e da adolescente.

"Guarda Luisa, si intravede già la costa, vedi quella scia bianca sotto di noi? E' il traghetto che procede verso il porto".

Sorvoliamo la spiaggia di Barbarossa, la riconosco dalla sabbia più scura, e mi rivedo bimba con Maria Nardelli, la mia eroica cugina che mi ha accudita durante i miei soggiorni elbani.

La mia unica salvezza, solo con lei avevo il permesso di recarmi al mare. Era la mia guardia del corpo, a vigilare sulle mie biricchinate!

"Mì, Fiorellì, non ti allontanare, stammi sempre vicina. Se no chi lo sente il tu babbo se ti accade qualcosa? Giù, Fiorellì, ora ci si cambia il costumino bagnato, proprio là dietro le canne. Eh chi ci vede? E no! Ora basta bagno. Si mangia la merenda e poi si torna a casa: alle cinque precise".

"Luisa, quanti anni è che prometto a mia cugina Maria di tornare alla mia “zattera galleggiante”?

“Nemolis, sono troppi! E' ora che ci torni, ma stavolta scendendo dal traghetto".

Riconosco quel profumo di finocchio selvatico, misto al salmastro, quella brezza che mi accarezza il volto e anche l'anima. Riconosco l'aria di libertà, l'odore del sole sulla pelle, col sale che evapora e punge, lasciando striature bianche sull'abbonzatura. E quante persone s'affacciano, con ricordi, anedotti, memorie.

Che bella infanzia, che bella adolescenza mi hai regalato, Porto Azzurro! Porto sicuro, amato scoglio, solida roccia a cui aggrapparmi contro i marosi della mia vita adulta. Ricordi mai sbiaditi nel tempo, anzi, più vividi che mai. Come potrebbero! Quel mare sempre più azzurro, lucente, guizzante di pesci, che saltellano fuori e trattengono il fiato, per poi rituffarsi in acqua. La stessa gioia che provavo io, Fiorellina, a farmi pesciolino, con le squame argentee, luccicanti al sole, e guizzarre via con la coda a farmi da motore.

Oh, che buon sapore quell'acqua salata! Rendeva ancora più dolce il succo della susina, appena morsa, da me, seduta a riva, così assetata e grondante sull'arena calda, accogliente e morbida, in cui giocavo felice a rotolarmi ed impanarmi. Proprio come una fettina alla milanese.

Che orrore, quel mio rito barbaro per mamma Gina, spalmata di latte Delial su ogni millimetro di pelle, giusto le unghie escluse dalla maniacale pratica, distesa sul quel colorato telo mare alla moda, da cui scostava irritata la fastidiosa sabbia. Giammai che un granello invadesse il suo prezioso spazio: lindo come i pavimenti di marmo della casa, lucidi a specchio, senza mai un granello di polvere. E quanti scuotimenti toccavano a quell'innocente telo prima di lasciare la spiaggia! “Fiorellina, scostati che ti ricopro di sabbia” mi strillava. Ed io per risposta mi rituffavo in acqua, c'era ancora tempo per un bagno: la pratica sarebbe durata parecchio. Ma lo strillo di babbo Mario, fremente, sulla vespa rombante, in folle e con il piede a terra, per fortuna metteva fine al rito: “Gina, è ora di tornare al Palmizio per pranzo. Sali su e tira fuori dall'acqua quella scimmietta!”

Veloce come un delfino, io, scimmietta, uscivo dall'acqua, e prendevo posto davanti, in piedi, tenendomi in equilibrio, e stringendo il manubrio della vespa. Mentre mamma Gina procedeva, affondando schizzinosa nella sabbia, con gli zoccoli in mano e la borsa di paglia al braccio, per raggiungerci sulla strada asfaltata e rovente.

“Scimmietta, stai grondando, ti verranno i dolori a non asciugarti, almeno buttati l'asciugamano addosso, e non bagnarmi i sandali di pelle! Maremma terremotata!”. Al babbo poco importava del look, giusto un paio di bermuda, i più vecchi e sciancicati possibile, una camicia scolorita, ma i sandali di pelle erano il suo orgoglio, la sua firma. Mamma Gina, al contrario, copricostume in spugna uguale al telo mare, che dava risalto a quel suo colore di pelle pane dorato appena sfornato. Era uno schianto: bionda naturale, occhi verde mare, labbra ben disegnate da un rossetto poco vistoso, di un tenue colore pesca e un figurino da modella.

E noi tre, personaggi così diversi l'uno dall'altro, si percorreva in vespa la strada sterrata e polverosa che conduceva al Palmizio, la casa coloniale rustica, di un bel colore rosa intenso, con le persiane verde bottiglia, che spiccava superba e vanitosa in cima alla collina.

Non si arrivava mai in cima alla rapida salita a pochi metri dalla casa, la vespa ansimava, e babbo Mario si intestardiva ad accellerare, così, mamma ed io, pronte, come gazzelle scendevamo, percorrendo quel terreno roccioso, con sassi a punta che storcevano le caviglie, fino all'ingresso della casa, dove ci attendeva una tavolata con nonni, zii, cugini, a banchettare sotto la fresca pergola, circondata da cespugli di buganville. E proprio su quel piazzale d'armi: lo smisurato tavolo di marmo, si consumarono principeschi piatti di pesce, uscito ancora vivo e guizzante dalle prodigiose nasse di babbo, ornati da saporiti ortaggi coltivati nell'orto, e in centro tavola, grandi ciotole in ceramica, colme di frutta maturata sugli alberi e appena colta, e vino bianco frizzante, succo dei generosi vigneti attorno alla proprietà.

Insomma un paradiso terrestre, profumo di ricordi indelebili: la nostalgia è l'amore che rimane.

“Nemolis, che dici, facciamo un giro sul Palmizio?”. Luisa sa bene che mi spaventa il ricordo di tanta allegra gioventù. Non sarebbe meglio tenere la felicità tutta in serbo nel cuore?

No, forse è venuto il momento di tornare davvero a calpestare la meravigliosa terra della mia “zattera galleggiante” e guizzare in quell'acqua più azzurra, più lucente, più vera di tutti i mari del mondo.

Ma il viaggio continua...

Fiorella Avalle Nemolis

 

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