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Italia-Germania: non è ancora semifinale, ma vale la partita del '70

ALBA

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TERESIO ASOLA - Messico, giugno 1970. L’Italia batté la Germania Ovest 4-3 nella semifinale della Coppa Rimet, poi perse la finale con il Brasile di Pelé.

Tanto leggendaria, la partita con la Repubblica Federale Tedesca quando la Germania e il mondo erano divisi in due, e tanto annegata negli eventi che la precedettero, in quelli che precorse, nelle chiacchiere di chi la vide (non io, che per l’ora ne vidi poi spezzoni a cose fatte) e nelle letture e dibattiti negli anni successivi, che di essa rimasero sfrangiati ricordi, come per le parole ripetute all’infinito. Ma alcuni momenti non moriranno.

Il gol di Karl-Heinz Schnellinger oltre i tempi regolari, ad esempio. Traditore, giocava in Italia, e poi era un difensore come me. Proprio contro di noi doveva segnare il primo gol dopo cinquanta partite in nazionale? E quei due minuti e mezzo. Come aveva osato, l’arbitro Yamasaki? Nando Martellini esclamò una frase fulminante contro quei minuti, eterni. E l’eroe, Beckenbauer, difensore anche lui, mediano e libero, che durante i supplementari corse a tutto campo col braccio fasciato trattenuto al tronco: un eroe, Dorando Petri del pallone.

E il gol di Rivera, il quarto, della vittoria: Rivera Gianni, padre Teresio, nome ottocentesco come Edera, che di Gianni era mamma, eloquio fluido ed erre arrotolata, subentrato a Mazzola nel secondo tempo ammaliò con le sue giocate morbide. Il resto, ombre. Troppi i fuochi d’artificio dei supplementari. Troppo sole inatteso.

Da L’Alba del miracolo, Teresio Asola

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