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In questo 8 marzo regala una mimosa a un uomo

MONTAGNA

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ELISA AUDINO - Coniata una nuova parola: femminicidio, un termine che quasi sembra voler medicalizzare la violenza e assolverci, così, dalla necessità di guardarla come a una conseguenza di una questione ben più ampia - le differenze di genere -  e che investe relazioni, lavoro, educazione, politica. Il 'femminicidio' non deve essere l'oggetto stesso della discussione. Ma soprattutto non deve interessare solo le donne. I movimenti per la pace riguardano solo chi in guerra ci vive? La lotta al razzismo riguarda solo chi il razzismo lo subisce? Perché, allora, le pari opportunità sono ancora un affare da donne?

L'8 marzo, invece, c'è da aspettarselo, si parlerà principalmente di violenza, con un misto di buonismo e asserzione, la testa piegata da un lato e gli occhi spostati dal nocciolo del problema e dalla nostra storia recente. Ancora, si richiamerà - per atto dovuto - il femminismo come a un passato che fa parte della storia e di cui, purtroppo, non si conosce più né la genesi né l'evoluzione.

La violenza deve, invece, appellarsi sonoramente alla questione culturale, senza rinunciare a leggere i numeri delle differenze retributive, della distribuzione del lavoro di cura ferma agli anni '70 (non c'è differenza da allora nel carico tra uomini e donne, semmai le donne hanno rinunciato definitivamente ad alcune incombenze, come stirare) e del bassissimo tasso di fecondità italiano che, però, a sua volta registra una forte differenza tra i figli attesi e quelli, poi, di fatto concepiti. I figli in Italia, a differenza di altri paesi, si desiderano ancora, ma non si fanno ed è pacifico, ormai, che ci sia un fortissimo legame con lo scarsissimo tasso di occupazione femminile avanti solo a quello greco. 

Occorre, in primis, parlare di modelli educativi nuovi, che insegnino soprattutto agli uomini a pensare al mondo femminile non come a una sfera subalterna, di cui aver timore. 

Pensiamoci bene: se finalmente si iniziano a proporre alle bambine giochi considerati tradizionalmente maschili - il Lego e le sue recenti proposte sono un esempio, c'è ancora una fortissima resistenza all'immagine di un maschio che gioca con una bambola o si veste da principessa Elsa. Evidentemente non solo perché potrebbe essere indice di una preferenza sessuale ritenuta erroneamente deviante, altrimenti la stessa reazione si avrebbe anche con le bimbe. E ognuno di noi avrà avuto modo di sentire la frase, magari all'uscita di scuola o in casa, 'non fare la femminuccia': è un fortissimo richiamo, seppur sottile, all'idea che la donna simboleggi tuttora la debolezza, l'essere seconda. Alla donna è stato permesso di entrare nel mondo tradizionalmente maschile, all'uomo no. E questo è il motivo per cui la donna fa fatica a restarci alla pari, in quel mondo: i vasi non sono comunicanti.

'Non siamo dei panda', mi disse un giorno in un'intervista esplorativa Carla Quaglino, conosciutissima femminista torinese, a proposito delle quote rosa e della, invece, più civile doppia preferenza obbligatoria. E ancora, mi disse a proposito delle leggi sul diritto di famiglia, aborto e legge di parità promulgate negli anni '70: 'Allora, di tutte queste leggi di cui abbiamo parlato, la sensazione di averle conquistate: tutta. Il giorno dopo, la sensazione che non bastava: tutta. Di percepire che non era sufficiente, ma che non c'era più possibilità di far altro: sempre. L'unica legge di cui il giorno dopo eravamo contente è stata la 194'.

Ecco, l'8 marzo deve essere una giornata in cui guardarsi meglio e 'ripartire da sé', ma in quel sé io vorrei veramente includere entrambi gli emisferi, vorrei che non si avesse più timore di parlare di 'pari opportunità' e di genere come di un tema minore, di cui sorridere e a cui dedicare - e oggi neanche più quello - un Ministero senza portafoglio presieduto dalla paggetta di turno. Contentini che vorremmo smettere di elemosinare e vorremmo veder sostituiti da diritti e opportunità reali per le donne e, quindi, per la società tutta.

Elisa Audino

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