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Giovani e lavoro: l'impresa deve saperli valorizzare perché altrimenti non ha futuro

CUNEO

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PIERCARLO BARALE - Questa storia vera potrebbe aiutarci a riflettere, nelle Festività rattristate dalla pandemia, sul rapporto - non sempre felice e corretto - degli adulti con i giovani. Il ragazzo, allora sulla quindicina, si chiama Giuseppe, nome vero. È divenuto un bravo imprenditore. Abile nel disegno industriale, come nell’esecuzione e controllo di quanto disegnato e realizzato, nonché nella manualità meccanica. Fin dalla prima classe della scuola media era stato abituato dal padre, che svolgeva, in estate, lavori di muratura con il fratello, ad aiutare fattivamente. Durante il passaggio fra la scuola inferiore e quella superiore, per l’intera estate, fece il bocia ai piastrellisti che stavano eseguendo pavimentazioni e rivestimenti in un palazzo di nuova costruzione. La levata mattutina era con il sorgere del sole, per preparare l’impasto costituente la base per la collocazione delle piastrelle. Dopo qualche settimana, si abituò al ritmo di una decina di ore di lavoro al giorno, nonché alla pesantezza della pala con la quale rimescolava sabbia, cemento e acqua, fino alla compattezza desiderata. Tale impasto, già allora, era preparato da piccole betoniere a motore, oppure trasportato in loco e magari sollevato fino al tetto da pesanti autocarri che movimentavano il calcestruzzo. Nel nostro caso, poiché ne occorrevano piccole quantità in sequenza, toccava a Giuseppe prepararle ed anche portarle al piano di lavoro su una scala di legno malferma e ripida. Il cemento veniva portato dentro un pesante secchio, denominato ancor oggi bujeul. I piastrellisti elogiavano il ragazzo per la diligenza nel fornire tempestivamente il materiale, che distendevano e poi lisciavano prima di collocare le piastrelle sui pavimenti ed i rivestimenti verticali.

Giuseppe non era ancora stato contattato dal datore di lavoro. Si trattava di un facoltoso industriale, che aveva fatto progettare ed ora eseguire il palazzo a più piani. Il ragazzo conosceva l’importo orario percepito dai piastrellisti ed immaginava di ottenere lo stesso trattamento. È vero, non era specializzato, ma eseguiva un lavoro comportante notevole fatica, con orario mattutino quasi antelucano, breve sosta a mezzogiorno e poi avanti fino alla sera. I fatti risalgono a circa quarant’anni or sono. Non vi era troppa attenzione per i lavori svolti dai giovani, sotto il profilo antiinfortunistico, sotto quello retributivo e contributivo. Una tarda mattinata si fece vivo il committente, al quale il ragazzo, ben conscio del valore e della fatica della prestazione, domandò se la sua paga fosse identica ai piastrellisti. Con sorpresa e grande delusione, si sentì rispondere che il lavoro veniva eseguito bene, ma che non sarebbe stato retribuito con 5000 lire l’ora, come i piastrellisti, bensì con 3000, perché era giovane. Riferì al padre, con dispiacere per la mancata considerazione del suo lavoro. Riteneva di essersi faticosamente guadagnato sul campo un compenso che avrebbe dovuto essere identico a quello dei piastrellisti. Gli fu risposto di pazientare, perché ottenere un lavoro per tutta l’estate era molto positivo e c’era la sicurezza di percepire il saldo da tale committente.

Giuseppe non nascose ai piastrellisti la delusione provata e soprattutto l’ingiustizia immeritata che aveva patito. In autunno, il ragazzo si congedò e ritornò a casa per iniziare il nuovo anno scolastico. Il facoltoso imprenditore pagò direttamente al padre, secondo la quantificazione che aveva indicato, l’importo stabilito. Verso fine anno il padre chiamò Giuseppe al ritorno della scuola, dicendogli di andare in quello che era stato il cantiere di lavoro, perché i piastrellisti, avendo terminato l’impegno assunto, desideravano salutarlo. Ciò fecero, con una grande dimostrazione di affetto e lo ringraziarono per la collaborazione che fu utilissima per la loro attività. Il fratello maggiore estrasse dalla tasca un foglio, sul quale erano indicate tutte le ore lavorate da Giuseppe, con l’importo a saldo. Integrarono tale pagamento effettuato dal danaroso - ma altrettanto avaro - committente, con duemila lire per ogni ora lavorata dal ragazzo, portandolo così alla stessa retribuzione a loro versata. Giuseppe, al quale ancora rodeva la decurtazione patita, restò sorpreso e li ringraziò. Ritornò subito a casa e riferì l’accaduto al padre, che fu soddisfatto dello svolgersi degli eventi. Ricordò al figlio che la pazienza dimostrata lo aveva premiato. A quarant’anni dai fatti, con Giuseppe, abbiamo svolto alcune osservazioni.

Erano altri tempi - è vero - e quasi tutti gli studenti, in estate andavano a raccogliere frutta, comprese le fragole richiedenti molta fatica; aiutavano nei lavori agricoli ed artigianali. Anche i ragazzi di città, nella nostra provincia, andavano a lavorare per integrare i guadagni familiari. Talvolta perché i genitori non volevano vederli gironzolare per strada, nei bar o con compagni notoriamente fannulloni. Purtroppo, in molte situazioni come quella di Giuseppe, i datori di lavoro corrispondevano agli studenti - lavoratori estivi - importi modesti ed inadeguati. All’imprenditore le duemila lire all’ora decurtate a Giuseppe non portarono fortuna. La sua industria non seppe adeguarsi ai tempi e fallì. Nulla aveva a che vedere - il facoltoso avaro - con Adriano Olivetti, che ebbe diversa considerazione per i lavoratori e soprattutto per i giovani. Pochi industriali ne hanno seguito l’insegnamento. Taluni si sono dati da fare per ostacolarlo, temendo che l’esempio facesse scuola nella gestione delle loro aziende, con grande timore per i loro guadagni. Ricordiamo, nella scia di Olivetti, Brunello Cucinelli con i tessuti, la famiglia Ferrero di Alba per i dolciumi, la Ferrari per le autovetture e pochi altri.

L’industria si basa essenzialmente sui lavoratori, sulla ricerca, sulle competenze, sulla disponibilità per le varie mansioni, sugli straordinari ove occorrano. Se i dipendenti sono adeguatamente retribuiti, considerati e motivati, tutto procede bene, non si deve delocalizzare e non si fallisce. I giovani, in tutte le attività ed anche nelle industrie, rappresentano il futuro, cercano comprensione e rispetto per le loro competenze, non la veste di stagisti sfruttati e di lavoratori a tempo determinato a vita. Risparmiare sui giovani, cercare di sfruttarne le competenze e le capacità è un suicidio per gli imprenditori che in tal modo operano.

Piercarlo Barale

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