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"Dal 2008 alla crisi del Covid, non sembra esserci spazio per nuovi migranti"

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CUNEO CRONACA - Cercavo documentazione per un articolo sull’immigrazione dall’Africa, alla luce dei recentissimi naufragi. È stato particolarmente incivile, per la civilissima Europa, l’abbandono dell’imbarcazione che ha inutilmente chiesto aiuto in alto mare, senza ottenere soccorso. Sono annegate quasi 150 persone, bambini compresi: dopo giorni di attesa, con mare agitato, senza viveri ed acqua. Italia, Malta e Libia, pur allertate, hanno omesso il dovere sancito dalla legge del mare e da elementari principi di fratellanza. Qualcuno sostiene che, così facendo, si disincentivano le partenze e cessa l’esodo indesiderato. Homo homini lupus: tale principio è antitetico a ogni confessione religiosa, ogni dettato costituzionale, ogni principio di civiltà.

Mi sono ricordato che la mia nipote oggi ventisettenne, Costanza Demaria, un paio d’anni orsono, aveva conseguito all’Università di Torino la laurea magistrale in Antropologia culturale ed Etnologia, con uno studio sulla figura del migrante di ritorno tra Italia e Senegal. Aveva soggiornato nello stato africano di lingua francese, per quattro mesi, per acquisire elementi sulla questione e contattare migranti. In questo periodo aveva svolto interviste con una quindicina senegalesi. Essi, dopo un decennio o più in media trascorso in Italia, avevano preferito, per varie ragioni, fare ritorno in patria. Tutti risiedono nei dintorni della città di Thiès. Alcuni avevano usufruito di un programma di cooperazione che ne facilitava il rientro sostenendoli nell’avviare attività economiche. Taluni avevano conseguito ottime abilità lavorative durante il soggiorno presso di noi. Erano stati formati per assumere attività produttive in proprio nel settore agricolo, nell’artigianato e nel commercio.

Erano partiti con viaggi aerei, permessi di soggiorno e lavori facilmente ottenuti. Altri tempi, anteriori all’immigrazione disordinata con i barconi, la prigionia in Libia, il rischio di annegare nella traversata. Nei villaggi e nei quartieri di Thiès la partenza era un avvenimento. I parenti, con una colletta, provvedevano al biglietto aereo, fiduciosi nell’immediato rientro dei quattrini anticipati, con le rimesse dell’immigrato. L’Italia era vista come il paese del bengodi. Nel dopoguerra del 1918 lo era – il bengodi – quella che chiamavano La Merica. Allora era un viaggio senza ritorno, se non, per qualcuno, dopo decenni, sempre se la Merica l’avevano trovata. Per molti è stata effettivamente trovata. Per i migranti senegalesi l’Italia si è subito rivelata per quello che era: un’illusione e (forse) nulla più. Quasi tutti hanno trovato lavoro, ma spesso non in grado di assicurare un tetto, mantenimento e risparmi. Questi ultimi, ove possibile, dovevano essere inviati ai parenti, finanziatori dell’avventura, in ragione di un terzo. Altro terzo veniva accantonato per il ritorno, con matrimonio obbligatorio. L’ultimo terzo serviva per il proprio mantenimento in Italia. Tutti desideravano rientrare. Solo qualcuno, trovata moglie o compagna in Italia, raggiunto dalla moglie lasciata in Senegal o dalla fidanzata rimasta in attesa, non rimpatriavano più. Ma anche per questi, la vita non consentiva risparmi, soprattutto se nascevano figli.

Per tutti gli altri, il sogno era il ritorno a casa. Pochi però lo concretavano, con un piccolo tesoretto, necessario per prendere moglie, per compiacere il padre, che pretendeva discendenza e soprattutto che si adempisse a tale compito tradizionale. Uno degli intervistati ha potuto sposarsi e avere, dopo qualche anno, anche una seconda moglie, con una - da noi impossibile - concordia tra le mogli. Aveva risparmiato un gruzzolo, lavorando come saldatore in una piccola fabbrica del Nord. Dopo un anno di manovalato aveva spiegato al titolare che sapeva saldare. Allora non sai solo sudare, ma anche saldare (un’incomprensione derivata dalla parola francese per saldare, souder, dalla pronuncia simile all’italiano sudare). Risparmiò e coronò il sogno proprio e del padre, al quale assicurò discendenza; a sé, mogli e figli. Per il quartiere divenne un mito, perché acquistò terreni, che coltivò con abbondanza di cibi.

In un’intervista del 5 ottobre 2018 il signore D. racconta: “Non sono andato via dall’Africa perché non avevo da mangiare, perché avevo dei problemi o altro. Avevo il diploma da meccanico, avevo trovato subito lavoro come meccanico in una grande azienda, una buona azienda. Avevo vent’anni. Non avevo bisogno di venire in Italia. Ho lasciato tutto il comfort qui per andare a cercare un sogno che non ho visto. Ma io avevo altri occhi. Mio zio ritornava ogni anno, aveva la macchina, stava facendosi la casa, ha soldi, belle scarpe, in due anni! Io lo chiamo il sogno dell’Europa.”

M. riflette con una certa malinconia: “Se si ragiona bene, si capisce subito che è più conveniente tornare in Senegal piuttosto che restare in Italia, se ci si trova senza lavoro e senza risorse. Bisogna pensare bene sul benessere che abbiamo in Italia. Star lontano dalla famiglia, dalla moglie, dai figli che crescono, che bene hai? Preferisco avere meno, ma tornare la sera a casa e i miei figli mi corrono incontro”. Sui giovani, M. continua: “Pensano che per riuscire debbano andare per forza in Europa; devono capire che possono riuscire anche in Senegal, lavorando”.

M., ritornato, fa il falegname, mobiliere artigiano, eseguendo attualmente un grande armadio e una imponente sedia in stile liberty, che intende regalare alla moschea di Moussanté. Da giovane faceva il ciclista ed avrebbe dovuto partecipare a un giro del mondo, poi sfumato, a seguito della morte del fratello maggiore, che lo costrinse a provvedere alla famiglia. Conclude dicendo: “Anche se ci sono difficoltà, devi dire no, io non mi fermo oggi, devi andare. Pedali, vai avanti. Non pedali, stai fermo”.

S., ora allevatore di polli, era partito in aereo a 27 anni. Ha lavorato a Ravenna in cantieri navali, come saldatore specializzato. Dichiara: “Anche tra i senegalesi c’è chi pensa che in Africa si muore di fame. Non è così. Perché hai paura di tornare dove sei nato e cresciuto? Perché hai paura di tornare in Senegal e morire di fame qui? Bisogna avere la volontà di stare sotto il sole, qui! E farcela qui in Senegal”. Circa la voracità dei parenti che attendono sempre soldi dall’Italia e vorrebbero che il migrante vi rimanesse indefinitamente, la ragione è perché ritornando, sposandosi, i parenti stessi resterebbero all’asciutto. “È mia moglie, sono i miei figli che stanno bene quando io sono qua, non gli altri parenti”.

Dalla crisi del 2008 ad oggi, alla quale si è aggiunta quella per il Covid, non pare esserci spazio per nuovi migranti. 

Piercarlo Barale 

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