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Da Priero per dare un futuro ai bambini in Africa e fare qualcosa che non appassisca mai

MONDOVì

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SERGIO RIZZO - Paola Zoppi è una giovane ragazza di Priero, in provincia di Cuneo. Giorni or sono, dopo una visita ai genitori è ritornata in Benin, Africa, precisamente a Djougou. Ad attenderla, in questa città in cui vive da un anno e mezzo, ci sono Andrea, Federico e Maria Giovanna, altri tre ragazzi che, come lei, hanno deciso di progettare il loro futuro in quel piccolo Stato dell’Africa Occidentale. La loro scelta è il risultato di un percorso che è iniziato nel 2015 quando, su richiesta del Comune di Djougou e grazie a dei finanziatori italiani, l’associazione "Amici dell’Africa" ha avviato la costruzione di un centro di accoglienza per bambini. Per diverse ragioni, questi ragazzi hanno vissuto tutte le tappe di questo progetto, contibuendovi, e oggi ne sono diventati a tutti gli effetti parte integrante. Hanno condiviso la vita con i bambini il centro e collaborato con il personale locale nella costruzione, nella gestione e nella vita dello stesso. Il centro in cui vivono si chiama Cape Birim. Cape è l’acronimo di Centre d’Accueil et de Protection d’Enfants. Birim è una parola in yom, la lingua più parlata a Djougou, e significa vivaio.

"L’obiettivo del centro – ha spiegato Paola Zoppi – è quello di accogliere bambini senza più radici e farli crescere fino a quando non saranno pronti a essere ripiantati per metterne di nuovi. Proprio come i piantini di un vivaio. Oggi il centro è costituito da due moduli e ospita 32 bambini di diverse fasce d’età. Il più piccolo ha appena sei mesi, mentre il più grande ha tredici anni. Nel rispetto di un’etica sostenibile, della cultura tradizionale locale e d’impatto ambientale, Federico, che è l’architetto che lo ha progettato, ha scelto di realizzare tutte le costruzioni in terra cruda. La tipologia costruttiva degli edifici deriva dalla rivisitazione dell’architettura tradizionale Somba, la popolazione che vive nel nord del Paese. Le fondazioni sono realizzate attraverso la posa a terra di grossi amassi rocciosi, sui quali s’innalzano i muri portanti in terra cruda. Gli stessi, derivano dallo scavo del suolo prospiciente l’edificio, senza l’ausilio di mezzi meccanici. La copertura della maggior parte degli edifici è realizzata in rafia, una sorta di “paglia” che viene altresì utilizzata dalle popolazioni autoctone per la creazione di ceste e corde. Gli edifici adibiti a cucina, ove la presenza del fuoco per la cottura degli alimenti renderebbe pericoloso l’utilizzo della rafia, sono realizzati secondo i parametri dell’architettura in Volta Nubiana, prevedendo la terra cruda per le murature e l’argilla purissima per le volte a botte in copertura. Ogni costruzione assicura un elevato comfort climatico e un bassissimo impatto ambientale sul territorio, sia in termini di consumo delle risorse locali che di inserimento paesaggistico. Il Centro accoglie bimbi orfani, abbandonati o che arrivano da situazioni di povertà estreme che con l’aiuto del personale locale vengono cresciuti e educati rispettando la loro cultura e le loro tradizioni. Si offre loro un ambiente familiare fatto di persone di origini diverse che vivono insieme nel più assoluto rispetto reciproco".

La vita del centro, oltre ai bambini, Paola, Andrea, Federico e Maria Giovanna, coinvolge anche le persone del posto o provenienti da altri paesi, vicini e lontani. Per alcuni è un luogo di lavoro, per altri è un luogo d’incontro e di condivisione, un’occasione per mettere a disposizione degli altri le proprie risorse personali e culturali. “Per il momento – prosegue nel suo racconto Paola Zoppi – il centro offre lavoro a dieci persone del posto: un direttore, un’assistente sociale, una psicologa, un infermiere, cinque maman e un guardiano e si spera che con il tempo questo numero possa aumentare. Il centro è già indipendente per quanto riguarda acqua potabile e energia elettrica, ma il progetto prevede il raggiungimento di una totale autonomia attraverso l’avvio di attività che permettano l’autosostentamento e che magari, un giorno, potranno offrire possibilità di lavoro anche ai bambini che vi stanno crescendo. Grazie al finanziamento de L’Insieme, un piccolo gruppo di produttori vinicoli di Langa, proprio in questi giorni il centro inizierà la produzione di una crema nutrizionale destinata alla prevenzione e alla cura dei gravi casi di malnutrizione presenti sul territorio. Si tratta di una crema già brevettata dal “Centro studi per la pace Onlus” composta da prodotti reperibili in loco, come l’anacardo, il miele, il sesamo e la polvere di baobab che, mescolati nelle giuste proporzioni, assicurano il giusto apporto nutrizionale ai bambini di età inferiore ai cinque anni e alle donne in gravidanza. Con quest’attività si prevede di dare non solo un sostegno alimentare ai bimbi malnutriti, ma anche un sostegno allo sviluppo economico del centro e delle povere realtà locali. Per favorire l’economia locale, infatti, il centro si è impegnato con i villaggi vicini per l’acquisto di anacardi, sesamo e baobab, mentre il miele è lo stesso Andrea a produrlo. La sua avventura con le api africane è cominciata alcuni anni or sono quando, grazie alla sua formazione apistica italiana, ha deciso di sperimentare l’apicoltura beninese. Oggi Andrea collabora con tre apicoltori del posto e alleva quaranta famiglie di api utilizzando le arnie kenyan, apportando la sua esperienza per migliorare le tecniche locali".

Per poter raccogliere fondi a sostegno del centro e delle sue attività e per avviare nuovi progetti destinati alla realtà beninese che, giorno dopo giorno, stanno imparando a conoscere Paola, Andrea, Federico e Maria Giovanna, hanno costituito un’associazione. Si chiama Amaranta, che in greco significa "che non appassisce", perché la loro speranza è di fare qualcosa che non appassisca, qualcosa che possa durare a lungo nel tempo.

Sergio Rizzo

(Nella foto, da sx: Federico, Maria Giovanna, Andrea e Paola Zoppi)

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