Meteo Radio Stereo 5 Euroregion Facebook Twitter Youtube Linkedin

Covid, l'arrivo dei pazienti raccontato da un'infermiera a Verduno: "Nessuno è lasciato solo"

BRA

Foto
Condividi FB

FIORELLA AVALLE NEMOLIS - In questo periodo dominato dall'incertezza, siamo tutti alla ricerca di informazioni, e così, bombardati dai media, a volte ci sentiamo confusi. Soprattutto cerchiamo informazioni corrette su tutti i fronti: come muoverci e cosa ci accade in caso di ricovero, quali sono le procedure.

Raccolgo la testimonianza diretta di Alessandra Camerota, infermiera capace e premurosa al Dea (Pronto soccorso) dell'ospedale Michele e Pietro Ferrero di Verduno (Cuneo), che gentilmente chiarisce molti dubbi che ci assalgono al pensiero di un ricovero ospedaliero.

Riconoscibili, dietro la mascherina, i suoi occhi verde mare, magnetici, protagonisti della comunicazione quando incrociano quelli gonfi di pianto, di dolore, dei pazienti che nella solitudine cercano un po' di conforto.

Una stretta al cuore vedere tanta sofferenza, ma Alessandra regge, perché vocata a fare l'infermiera. "Sposa per sempre", così si definisce, di Sergio Sette, anestesista rianimatore all'ospedale San Lazzaro di Alba, scomparso prematuramente.

Forte, coraggiosa e sola, cresce i figli Edoardo, Samuele e il piccolo Leonardo, ma è altrettanto dedita alla sua professione.

Alessandra, in questo periodo di pandemia, quando si arriva al Dea di Verduno, cosa accade?

"In primo luogo si accede al pre-triage, dove al paziente vengono poste alcune domande al fine di capire se accusa sintomi riconducibili al Covid-19. A questa procedura segue il triage, dove infermieri qualificati (perchè dotati di anzianità di servizio e che hanno seguito un apposito corso per eseguire questa procedura) registrano l'utente, e in base ad un certo codice di colore stabiliscono l'urgenza del trattamento. Nel caso in cui l'infermiere valutasse che potrebbe sussistere necessità di ricovero, sottopone l'utente al test antigenico e nel giro di mezz'ora si ha il risultato. Se il test risulta negativo, la persona va in sala d'attesa o nell'attesa interna (e sono la maggioranza, per questo, visto da fuori, il locale sembra vuoto) dove i parenti non possono sostare. Nel caso il paziente risultasse positivo al test, viene accompagnato nel reparto isolamento del Pronto soccorso".

Chi è nel reparto in isolamento rimane solo?

"Assolutamente no. Due infermieri, due Oss, un medico urgentista e, in caso di necessità, in aggiunta altri consulenti ancora se ne prenderanno cura. Sia ben chiaro che la persona in isolamento non è lasciata sola. Quindi verranno prestate la cure del caso, che possono essere per sintomi correlati al Covid, ma anche ad altre patologie. Per essere ancora più chiara: se un paziente arriva con forti dolori di pancia o con un trauma riceve le cure necessarie, ma all'interno del reparto di isolamento, non del Pronto soccorso. Nel frattempo si esegue il tampone molecolare che viene inviato a Verduno o a Cuneo, dipende dall'urgenza, e che darà un risultato definitivo dopo un certo tempo".

E intanto cosa accade al paziente in attesa del risultato del tampone?

"Se nel frattempo si risolve la sintomatologia per cui si è recato in Pronto soccorso, il paziente viene mandato a casa in affidamento fiduciario, in attesa dell'esito definitivo del tampone molecolare".

Perchè questo tipo di trattamento?

"Per tutelare il personale sanitario, che presta le cure bardato nel modo corretto per non rischiare di ammalarsi, ma anche per proteggere gli altri utenti del Pronto soccorso da un eventuale contagio tra pazienti. In sostanza è per evitare che pazienti positivi e negativi attendano nella stessa stanza".

Ringrazio Alessandra, che mi conferma che è disposta a rispondere ad altre domande. Le confermo che è stata più che esaustiva. La ringrazio anche a nome dei lettori, nella speranza di avere dato un po' di serenità in un momento buio, così complicato ed incerto.

Fiorella Avalle Nemolis

VIDEO