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Bra, Fulgida Roggero e la forza della determinazione: "Faccio teatro dove c'è bisogno"

BRA

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FIORELLA AVALLE NEMOLIS - Fulgida Roggero, attrice, regista, formatrice teatrale torinese, trae la sua forza dalla pratica quotidiana del buddhismo. “Il buddhismo fa parte di me, da ben 33 anni seguo la corrente buddhista Soka Gakkai del maestro Nichiren Daishonin (vissuto nel 13° secolo): è un metodo per affrontare la vita come una continua sfida propositiva di superamento delle difficoltà. Se a mio figlio, ormai ventiquattrenne, da piccolo chiedevano cosa facesse la sua mamma, rispondeva: mia mamma fa l'attrice e la buddhista!".

"Fulgida, in sostanza, cosa fai nella vita?"

"Dire che faccio l'attrice è un'espressione molto riduttiva. Sono una teatrante a trecentosessanta gradi, a seconda dell'occorrenza, sono attrice, regista, creo progetti di teatro educativo e sociale, speaker, ricopro ruoli di responsabilità in progetti di gruppo. Insomma, mi adatto a diversi contesti lavorativi con spirito positivo. Sono moglie e mater familias con un figlio ormai adulto. Non ho nessun problema di orari, credo di essere abile a pianificare le varie attività, direi, quasi funambolica!”

"Direi che come presentazione può bastare. Oggi che ruolo ricopri?"

"Al liceo Giolitti-Gandino di Bra mi trovo a svolgere il compito di teatro educativo e culturale. E' un'esperienza molto formativa, un linguaggio che ai ragazzi servirà nella vita".

"Raccontami della tua vita di artista..."

“Faccio parte della compagnia il Teatro delle Dieci di Torino, anzi ne sono la presidente, quindi seguo anche la parte legale. E' durissma tirare avanti con tutto in regola: continuiamo finchè si resiste. Per sopravvivere faccio tremila lavori"

"Quindi ci vuole molta forza, sia psichica che fisica. Chi te lo fa fare?"

ll volto levigato, bell'incarnato, occhi luminosi verde chiaro, all'improvviso cambia espressione: la pacifica Fulgida buddhista rivendica, seria, il suo perchè, quasi volessi sottrarle qualcosa. Il tono di voce si fa più basso, anzi sussurra, come si confida un segreto, anche a se stessi:

“E' un'urgenza fare teatro. Dire e dare, non si può trattenere. Non si può smettere!”

Fulgida non parla di passione, non ce n'è bisogno, alloggia nel suo essere, alimentata dal fluire di energia benefica che le è propria.

“Come è nata l'urgenza? Chi ti ha infettatta col virus di fare teatro?”

“Fu al liceo Galileo Ferraris di Torino, negli anni settanta, quando, durante un laboratorio di teatro, tra i primi esistenti in Italia, incontrai, con tutta la sua compagnia, il mimo performer inglese Lindsay Kemp, un grandissimo artista, acclamato in tutti i teatri. Fu una folgorazione e, come dici tu, ormai, ero già infettata e mi iscrissi all'Accademia. Avevo capito cosa volevo fare da grande"

“Hai iniziato giovanissima, a vedere dal tuo nutrito curriculum, non ti sei risparmiata, hai spaziato e sperimentato molto nel campo dello spettacolo"

“Sì, vero. Ho frequentato molte scuole di recitazione professionali. Il periodo più intenso formativo e lavorativo è stato al Centro di formazione teatrale A. Blandi, diretto da Massimo Scaglione, regista molto conosciuto a Torino, uomo di grande cultura. Sono stata il suo braccio destro e sinistro, ho imparato molto, nell'arco di vent'anni, insieme abbiamo realizzato tanti progetti importanti. Con i miei colleghi, ora, stiamo raccogliendo l'eredità di Scaglione. E' grazie a lui che ho potuto vivere di questo lavoro"

"Qual'è il tuo obbiettivo di attrice?"

“L'urgenza del fare, di realizzare, non tanto la smania di emergere, di essere osannata. Forse con l'ambizione avrei ottenuto più luce, ma il mio obiettivo è di lavorare in ambito sociale con il teatro, affiancandolo a quello prettamente artistico"

"In che consiste?"

“Faccio teatro dove ce n'è bisogno, penso di avere qualcosa da portare. Con i laboratori sono orientata a fare emergere aspetti espressivi delle persone che spesso non sanno d'avere. Certo così non ottengo molta visibilità, per esempio, non è una notizia eclatante fare corsi di teatro al carcere di Alba"

“Che tipo di esperienza è?”

“E' un'ambiente inimmaginabile: passare tre porte che si chiudono alle tue spalle. Quel senso di non ritorno, sgomenta. Propongo teatro, che di per sé è un metodo di cura"

“Il tuo approccio con i detenuti?”

“Ho buone capacità di relazione con loro, io non sono tenuta a sapere e a giudicare. C'è un coinvolgimento emotivo sulla base dello spettacolo, faccio eseguire esercizi, seguendo un testo. Certo ci vuole un po' di fermezza, ma anche voce calda, suadente e giuste pause. E' un buon progetto, realizzato grazie anche al contributo della Cassa di Risparmio di Cuneo.

“Come hai vissuto da giovane artista in questo complicato e caotico mondo dello spettacolo?”

“In attesa dell'occasione giusta, tanto studio, tanto duro lavoro, anni di insicurezza, di avversità, spesso non avevo neanche i soldi per mangiare: una pazza! La paura di non avere talento, di non essere abbastanza brava. E' un peso troppo pesante da portare all'inizio, per continuare è fondamentale avere una personalità forte. Ma io non ho mai mollato, perchè il teatro è come una malattia, non puoi più fare altro che quello. Tutto il resto è un ripiego".

Fiorella Avalle Nemolis

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