FIORELLA AVALLE NEMOLIS - La braidese Luciana Rizzotti con il racconto "Ricominciare" ha vinto il primo premio del concorso Prosa e Poesia, a cura di La famija Vinovèisa con sede a Vinovo (Torino). Non è l'unico successo letterario. Luciana Rizzotti, con "Istria 1945 – 1956. Il grande esodo", patrocinato dalla città di Bra, narra le sue memorie di esule istriana.

Nata nel 1937 a Cittanova d'Istria, appena diciassettenne, con la sua famiglia lascia tutto: casa e paese. Dopo tante peripezie, nel 1954 approda a Bra, dove risiede ancora oggi. E' una signora di bella presenza, alta, slanciata, molto garbata. Carnagione chiara, occhi verde foglia, in cui si legge ancora il doloroso abbandono della propria terra, di fragile adolescente proiettata verso un futuro ignoto. Luciana cresce in fretta, affronta altre difficoltà, altri dolori, ma con forza d'animo riesce sempre a superarli.

Nel racconto “Ricominciare” emerge la consapevolezza, che elaborato il lutto di una persona cara, si può tornare a vivere. Luciana, con tono pacato e privo di enfasi, narra e ripercorre quell'episodio doloroso.

“La malattia di mio marito è stato un calvario. E' mancato a soli 42 anni. Ad un mese dalla sua scomparsa mi resi conto che lui non sarebbe più tornato. Così, per due anni mi stordii di lavoro, per non pensare all'accaduto: sarebbe stato insopportabile rendermene conto. Fu un modo per difendermi. E, più passava il tempo, e più si dilatava la voragine che mi stava inghiottendo.

Trascorsi ormai due anni dal lutto, vissuti come un automa, all'improvviso, un giorno mi accorsi di non farcela più. Per tre giorni rimasi distesa sul letto, mi parve che un macigno mi stesse schiacciando. Pensai che sarebbe stato bello lasciarsi andare nel nulla, morire lentamente nello stesso letto dove era morto lui, dopo sette anni di malattia, ricoveri, esami, cure, speranze e delusioni! Avevamo lottato insieme e non era servito.

Ricordo che mi aspettava sempre dietro la finestra della stanzetta dove era ricoverato. Io arrivavo e posteggiavo la macchina proprio davanti all'ospedale Molinette di Torino. Il suo sguardo si illuminava quando mi vedeva, ma spesso me ne andavo via in fretta, per non fare vedere la mia angoscia e, appena potevo, fermavo la macchina sul ciglio della strada e piangevo.

Fu al culmine del dolore, ormai distesa sul letto da tre giorni, mentre stavo per arrendermi alla vita, quando, sentendo le voci dei miei figli affannarsi preoccupati intorno al mio letto, all'improvviso mi scattò una grande spinta.

A riportarmi alla vita fu la disperazione dei miei tre figli, Mauro di diciassette anni, Sergio di tredici e Mariella di nove, così impotenti e smarriti nel vedermi abbandonata e sopraffatta dal dolore. E oltretutto, inspiegabilmente, a due anni dalla morte di mio marito.

Vederli così felici e commossi perché ero di nuovo tra loro, mi riempì il cuore. Avevo ancora il compito di crescerli. Dovevo darmi da fare! Fu in quel momento che sentii che la vita doveva riprendere".

Cosa hai provato nello scrivere il racconto?

“Mettere sulla carta i miei pensieri positivi, ma soprattutto quelli negativi, è un grande aiuto: mi libera e posso “ricominciare” proprio come il titolo del racconto. Elaborato il lutto solo dopo anni ne ho scritto: superare la disperazione non significa dimenticare”.

Vuoi lasciare un messaggio ai lettori?

“Il senso del mio racconto è: ricordare il bello che ci ha dato la persona amata, è come un dono che, giorno per giorno, ci mantiene e ci rinnova l'amore, che si tramuta in un ritorno alla vita”.

Fiorella Avalle Nemolis