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"Quando decisi da far tornare la voglia di carnevale a Bra con la mia vetrina di maschere veneziane"

BRA

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FIORELLA AVALLE NEMOLIS - La strenua lotta tra Hallowen e il nostro Carnevale. Erano gli anni novanta, quando il Carnevale era ormai caduto in disgrazia, che sciocca abitudine mascherarsi e inzozzare le strade di coriandoli e stelle filanti. Quanto chiasso e volgarità!

Così la pensava la maggior parte della gente, o perlomeno, si adeguava al pensare comune.

Ma, nel loro cuore di bimbi, albergava il desiderio di rivivere quella baldoria, e quella eccitazione di interpretare un ruolo, forse di un personaggio ammirato, invidiato, quello che avrebbero voluto interpretare nella vita. Chissà!

Ed io professionista in nostalgia, guardavo le foto dei miei carnevali di bimba e anche di grandicella.

Ma ecco a sbaragliare definitivamente il carnevale, bussò alla porta un'usanza americana: Halloween, la festa che esorcizza la morte.

Negli aereoporti ai tanto rigorosi controlli, magari da un troller era sfuggita una di quelle orride maschere in gomma, uno zombi, con occhi iniettati di sangue. Ne sarà bastata una, per infettare il nostro, già abbastanza sgarruppato stivale.

E, come il wisky, la coca cola e il rock and roll, importammo anche questo fenomeno, ed esplose la halloweenite acuta: bimbi, povere creature innocenti, vestiti da streghe, da mostri, con trucchi spaventosamente orridi.

Ma, mi domando, se proprio nei cuori di adulti, bruciava ancora il focherello del carnevale, perchè non tornare alla tradizione, travestirsi e fare baldoria?

Un inno alla spensieratezza, all'allegria. Perchè accogliere una festa funesta (di che festa si parla?) che esorcizza la morte?

Mi adeguai e per il vile denaro, acquistai cappelli da strega, parrucche nere, e anche mantelli in raso, ma le maschere orride, giammai!

Piuttosto mi sbizzarrii con l'oggettistica: i peluche a forma di zucca, i fantasmini, i ragnetti, i pipistrelli, ma gli scheltri giammai! Anche piccoli oggetti: zucche in tutte le salse, che facevano qualsivoglia inutile uso.

Ma, sfruttando l'onda del gusto di mascherarsi, passai al contrattacco, grazie a un sogno: una notte d'inverno buia e tempestosa, sentii bussare con insistenza alla finestra, andai ad aprire e mi apparve uno splendente Arlecchino, che con garbo mi fece un bell'inchino : “Ciò, Fiorela, sze lora de far tornar el carneval! “ed io risposi : “Come el vol sor Arlecchin. Serva vostra!”

L'indomani, presa dall'entusiasmo, pensai a una premonizione e contattai una ditta di maschere veneziane che avevo visto in fiera a Milano. Marzio mi guardò sorpreso. Non tentò di contrastarmi, sarebbe stato inutile.

Una settimana dopo, allestii la vetrina con un'assortimento di maschere (da indossare) con colori e decori fantastici.

Ovvio, cadevano i giorni di carnevale, l'assortimento era principesco: soggetti floreali, la luna, il sole, la farfalla, il leone, la stella, Tutankamon, la bautta, Balanzon, e tra queste primeggiava Arlecchino (il mio ispiratore), oltre alle maschere della tradizione veneziana.

Ed io, finalmente potevo mascherarmi ufficialmente, autorizzata dal carnevale: divenni un campionario vivente.

Così, anch'io maschera, mi esponevo in vetrina, mimetizzata, immobile come le mie colleghe, giocavo a fare concorrenza agli artisti di strada.

Ascoltavo curiosa e divertita i commenti dei passanti, e di quando in quando, all'improvviso, ruotavo gli occhi, e qualche bimbo, che non si perdeva nulla, tra lo spaventato e il divertito, strattonava la mamma e strillava: “Mamma, mamma, guarda c'è una machera viva!”

Le mamme tornando sui loro passi: “Ma no, ma no! E' quella burlona di Fiorella, che fa gli scherzetti di carnevale!”

La mia gioia incontenibile era virulenta, tanto che ai miei clienti si stava scolorendo, ormai, quella fastidiosa patina di: “Cosa dirà la gente”, e poco alla volta, si riaccese in loro il fuoco del carnevale.

Fiorella Avalle Nemolis

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