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MONDOVI'/ Musica del trio d'archi "Il Furibondo" per ricordare le vittime del Covid

MONDOVì

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CUNEO CRONACA - "Il trio d’archi è di fatto un’orchestra d’archi in formato tascabile, o meglio da salotto, nata per il piacere di fare musica insieme (musizieren) e per il piacere degli ascoltatori, nell’era in cui non esistevano mezzi meccanici (men che meno elettronici) per la riproduzione del suono. Prima presso le corti aristocratiche, e poi nei palazzi della buona borghesia la musica da camera era intrattenimento piacevole, passatempo molto apprezzato e i compositori scrivevano appositamente brani leggeri e gradevoli, assecondando le richieste del pubblico, come nel caso di Felice Giardini, il più "vecchio" degli autori in programma nel concerto "A piccoli passi", tenuto a Mondovì, in provincia di Cuneo, dal Furibondo String Trio (Liana Mosca al violino, Gianni de Rosa alla viola e Marcello Scandelli al violoncello). Il suo trio per archi in Fa maggiore si apre con un andante un po’ monotono, si vivacizza con echi mozartiani del grazioso e si conclude con un allegro che mescola vari tempi di danza, in una girandola di “effetti speciali”.

Il trio per archi in Sol maggiore di Boccherini inizia invece a piccoli passi, con la delicata raffinatezza di un andantinoscreziato d’ombra (alla cupezza del violoncello rispondono consolatori violino e viola con scale e arpeggi), ma la sorpresa è nel tempo di minuetto: sembra destrutturato, segnato da respiri profondi che sono quasi sospiri d’arco impazienti e nervosi, con volumi sonori in crescendo nella chiusa.

Ancor più sorprendenti le trascrizioni (attribuite a Mozart, ma senza conferme recenti) delle fughe di Johann Sebastian Bach, precedute da un movimento lento (adagio o largo). Di salottiero, nel senso di “edonistico e sereno”, c’è ben poco, soprattutto nella n.4: le tre voci non edificano una cattedrale sonora come in Bach, ma si incalzano, si inseguono, si intrecciano in un’armonia severa, tempestosa, quasi dolorosa, che esprime il lato umbratile della vita e della psiche, schiacciata dal peso del negativo: l’atmosfera è quella inquieta dell’Empfindsamkeit.

Ha struttura fugata anche la Triosatz n.1 di Schubert, sfavillante di grazia. La fuga qui è la cornice che la tradizione fornisce per dar voce a una tensione irrisolta, alla nuova sensibilità romantica, per cui la musica era l’arte dell’infinito. Come ha affermato il celebre direttore d’orchestra Nikolaus Harnoncourt: «La musica è una lingua dell’ineffabile, che però si avvicina ad alcune verità ultime, ad alcune segrete esperienze ben più della "lingua delle parole"».

Hanno dimostrato di esserne ben consapevoli i tre virtuosi interpreti, che hanno concluso la loro esibizione con l’aria “Lascia ch’io pianga” dal Rinaldo di Händel, come omaggio a tutte le vittime della pandemia che ci ha così duramente colpiti".

Gabriella Mongardi

 

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