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IL RACCONTO DELLA SETTIMANA/ Dov'è finito il "Cunsu" dei boschi in Valle Stura?

MONTAGNA

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GUIDO OLIVERO - Avevo 12 anni e lo incontrai due volte, sempre nei boschi sopra la grande centrale idroelettrica. La prima fu un giorno che andai a funghi. Avevo camminato diverse ore senza trovare nulla. Ad un certo punto vidi un cappello di felpa che si muoveva dietro un cespuglio. Mi spaventai. Avevo capito che forse era lui, il Cunsu.

Ne avevo sentito parlare in casa. Mio padre mi aveva detto che era una sorta di orco che rapiva i bambini e poi li faceva lavorare nei boschi e non gli dava da mangiare e così, dopo un po', morivano. E poi avevo anche sentito dire che era completamente pazzo e che ogni tanto ululava come i lupi. Con queste pensieri in testa mi bloccai e vidi che anche lui si fermò e con lentezza tirò giù la testa dietro il cespuglio. Il mio cuore batteva fortissimo. La paura mi aveva inchiodato le gambe. Non sapevo cosa fare. Avrei potuto scappare di corsa, ma sapevo che lui era un atleta.

Sempre mio padre mi aveva detto che era velocissimo e che un giorno era riuscito a seminare due carabinieri che gli correvano dietro saltando un canale largo più di sei metri. I carabinieri lo tenevano da anni sotto controllo perchè s’era fatto diversi anni di prigione a causa di un litigio nella piola del paese. Questa cosa me l’aveva raccontata Rosa, la mia vicina di casa. Era successo molti anni prima che io nascessi e tutto era successo a causa di una donna che si era invaghita del Cunsu. Il suo moroso decise di affrontare il Cunsu con un coltello ma questi aveva una agilità e una forza tale che a mani nude ebbe la meglio e diede tante sberle al moroso da mandarlo all’ospedale di Borgo. Vennero i carabinieri e l’arrestarono per tentato omicidio. Nessuno dei presenti testimoniò a suo favore e venne così condannato a dieci anni di galera.

In paese, quando uscì di prigione, tutti avevano paura di incontrarlo perché pensavano che un giorno o l’altro si sarebbe vendicato del torto subito. Invece non successe mai nulla. Lui in paese si faceva vedere pochissimo, scendeva dal suo rifugio in mezzo ai boschi solo in autunno per vendere le castagne e non sempre nello stesso paese. Dopo quello che gli era successo, era molto diffidente e non si fidava più di nessuno. Si fidava solamente delle sue tre capre che molti anni prima aveva comprato alla fiera dei Santi a Vinadio.

Con tutte queste cose che mi giravano per la testa, non avevo davvero la forza di scappare. L’unica cosa che potevo fare era star fermo sperando che non mi avesse visto, oppure, lentamente, nascondermi dietro ad una pianta di castagno. Cose semplici, ma in quel momento difficilissime. Stetti lì bloccato, mentre lui si era nascosto dietro al cespuglio. Non lo vedevo più, ma sentivo il suo odore. Un odore intenso di sudore di roba mai lavata. Un lezzo di quel genere lo sentivo quando mio nonno mi portava con sè dal suo amico Simun che teneva le capre in cucina. In quella cucina sentivo quasi lo stesso odore anche se effettivamente era molto meno intenso. Con quell’odore nelle narici la mia paura era ancora più forte. Passarono quasi dieci minuti e poi mi venne anche voglia di fare pipì e la mia disperazione aumentava sempre di più.

Con le lacrime negli occhi decisi di muovermi e fu lì che scoprii davanti a me un fungo porcino enorme. Alto due palmi con un gambo enorme ed una testa piccola ficcato in un ciuffo d’erba. Che bellezza! ma la paura che avevo dentro era talmente forte che la gioia della scoperta del meraviglioso fungo non compensava. Decisi di non raccoglierlo e piano piano mi avviai verso un grande castagno distante circa dieci metri da dove mi ero fermato.

Fu lì che sentii una voce forte che mi disse: "Dove vai ragazzo? se sei venuto a funghi perché non raccogli quel bel fungo, che se non sei cieco sicuramente hai visto. Sai che questi posti sono i miei, ma per una volta vada, prendi quel fungo e vai via dai miei boschi". Mi fermai, non osai girarmi e in modo alquanto buffo, raccolsi quell’enorme fungo, E poi scappai di corsa e sentii alle mie spalle una risata. Non tornai mai più in quei boschi sopra la centrale che mio padre chiamava con il nome di Cumbagliosa.

Per molti anni non incontrai mai più il Cunsu. Lo rividi per l’ultima volta nella pineta dell’Impero quando un giorno andai a raccogliere le pigne secche per accendere il camino. Stavo sotto un grande pino e vidi un'ombra minuta in alto alla conca. Alzai lo sguardo e vidi il Cunsu. Vestito da straccione con una lunga barba bianca mi osservava dall’alto della riva. Aveva un portamento fiero.

Molti anni prima mi ero fatto l’idea, anche se non lo avevo visto bene, che fosse un uomo piccolo, invece era un uomo alto magro, tutto pelle ossa e con quella lunga barba bianca sembrava un profeta biblico. Fermo come un camoscio mi osservava ed io ricambiai la fermezza dello sguardo. Ad un certo punto mi fece un leggero cenno con la mano e riprese il suo cammino. In un attimo svanì in mezzo ai grandi pini. Non lo rividi mai più e nessuno in paese mai seppe che fine avesse fatto il Cunsu.

I più sostenevano che fosse emigrato chissà dove, qualcun altro invece sosteneva che fosse morto e che gli animali selvatici l’avessero divorato senza lasciare una minima traccia. Io invece continuo a pensare che lui si sia trasformato in un elfo e che continui a vivere a Cumbagliusa nascondendosi dietro i cespugli e dentro le fronde dei grandi castagni.

Guido Olivero

 

 

 

 

 

 

 

 

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