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Il '68 tra Torino e Bra e il volontariato in Slow Food: la vita sulle rotaie di Gianni Milanesio

BRA

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FIORELLA AVALLE NEMOLIS - "Sono nato il 9 agosto 1954 a Bra, in provincia di Cuneo, in un appartamento nel viottolo di via Gianoglio 6, le cui finestre danno sulla principale via Vittorio Emanuele. Sono nato all'angolo tra due vie. Nel 1973, appena diciannovenne, all'improvviso ho svoltato l'angolo della mia vita: il 15 giugno, passato il concorso di aiuto macchinista, sono entrato in ferrovia, poi promosso all'esame di stato per il diploma, e il 4 agosto ho sposato la mia fidanzata, eravamo due bambini quando abbiamo messo al mondo nostra figlia Simona nata nel gennaio 1974. La mia vita da allora è cambiata completamente".

Raccontami com'era la vita di prima.

Gianni Milanesio sorride: occhi verde foglia, capelli bianchi lisci e lucenti, volto un po' sbarazzino, mascherato da un burbero accenno di barba a delineare il mento e da baffetti ben curati. E' snello, tutto muscoli e nervi: un fisico forte e ancora di più lo è il carattere. "Era il 1968, ero appena quattordicenne quando mi trasferii a Torino alloggiando in pensione da famiglie: non furono anni facili. Quando frequentavo l'istituto per periti tessili e chimici tintori di Torino mi scontravo spesso con gli insegnanti che, per varie ragioni, discriminavano gli studenti. Solo per il buon rendimento non mi bocciarono per cattiva condotta, a patto che non mi iscrivessi più l'anno successivo. Era iniziata la mia battaglia contro le ingiustizie, che continuai anche all'istituto Pinin Farina (specializzazione in meccanica, telecomunicazioni e di energia nucleare)".

A vederti sembri la persona più pacifica al mondo. Quindi eri un sessantottino in piena regola?

"Sì, ma nelle manifestazioni di protesta noi del primo anno eravamo sempre in prima fila, così mi sono buscato tante botte. Erano gli anni '70 quando frequentavo il bar Talamini di Bra, che era il ritrovo del nostro gruppo di volontari con a capo Carlin Petrini, artefice del primo spaccio solidale di alimentari confezionati, con sede in via San Rocco, a cui si accedeva con una tessera annuale di 10mila lire. Il risparmio era di circa il 30%, si rivendeva al prezzo di costo e dello spaccio si occupavano i volontari, ovvio senza compenso, in gran parte erano i cassaintegrati della ditta Cmb di Bra (costruzioni meccaniche braidesi). Ho vissuto sempre un po' di striscio le attività a causa dei miei turni di servizio alle ferrovie. Sempre su idea di Petrini nacque il giornale "In campo rosso", una voce politica del Pdup a cui seguì la radio libera "Onde Rosse" diretta dalla giornalista Grazia Novellini. La sede era in via Gianolio 6. In seguito fu sequestrata, all'epoca le radio libere erano ancora illegali. Riprese poi a trasmettere e per solidarietà l'attore di teatro Dario Fo venne a Bra per uno spettacolo e poi devolse i proventi al fine di sovvenzionarla. Carlo Petrini, con l'intento di valorizzare i cibi del nostro territorio, ideò "L'Arcigola", antesignana di Slow Food, a cui seguirono Cheese e Terra Madre. Il mio impegno come volontario era limitato a causa dei turni in ferrovia. Tornando a quel fatidico 1973, rinunciai con rammarico alla proposta come assistente di docente all'istituto Pinin Farina, e vinsi il concorso per entrare in ferrovia come aiuto macchinista".

Il lavoro ti soddisfaceva?

"All'inzio fu un lavoro difficile, pesante, con mansioni faticose, le locomotive erano sudice e scomode. I treni merci viaggiano quasi sempre di notte e non sempre era facile il rapporto col macchinista, con il quale dividevo la cabina di appena due metri quadri, e il dormitorio nelle stazioni durante i turni fuori sede. C'era tanto disagio, dovevamo persino portarci le lenzuola da casa, farci il letto, e al mattino seguente recuperarle per il cambio. I pasti si consumavano nel baracchino, scaldandoli su un fornelletto in cabina. Solo a partire dagli anni '80 ci fu a disposizione la mensa".

Quale era la maggior difficoltà sui treni merci?

"Evitare il brusco contraccolpo della frenata e la pericolosità della guida in discesa. La linea di Bardonecchia dei treni merci, in prossimità di Modane, aveva una pendenza quasi al limite: la frenata dei treni merci equivale a poco più di metà del loro peso. Oggi non è più così, la tecnologia ha facilitato in modo esponenziale il compito del macchinista".

Cosa ti dava soddisfazione?

"Il mantenimento degli orari, sembra una banalità, ma era cosa ardua".

Quando migliorò la condizione di servizio?

"Quando, raggiunta la graduatoria di anzianità, passai alla qualifica di macchinista, e solo con la graduatoria di anzianità si accedeva al turno passeggeri. Ma per fortuna, anche se mi competeva il turno del treno merci, quasi sempre mi assegnavano a quello delle elettromotrici grazie alla mia esperienza di quei mezzi considerati molto delicati".

Comunque hai fatto una buona carriera.

"Sì, certo, ho guidato i mezzi più sofisticati: littorina, pendolino, tgv, il treno grande velocità francese, tratta Parigi-Milano. Sono stato abilitato a tutti i mezzi elettrici che hanno attraversato i miei 40 anni di servizio: dagli addetti ai lavoro ero chiamato maestro, la qualifica di chi ha effettuato più corsi di formazione e di aggiornamento".

Gianni, ormai in pensione da una decina d'anni, si occupa di volontariato nella condotta di Slow Food, e con il consenso degli altri consiglieri, ne è divenuto fiduciario.

Sei ancora oggi sul piede di guerra contro le ingiustizie?

"Non più, evito le persone che secondo me non si comportano in modo corretto. Mi ritengo una persona generosa, me lo riconoscono tutti, però non mi piace essere preso in giro".

Fiorella Avalle Nemolis

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