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Giovanni Giolitti, 97 anni fa l'addio dello statista cuneese che segnò la storia d'Italia

CUNEO

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ALDO MOLA - "Non così in fretta" furono le ultime parole di Giovanni Giolitti che si spense a Casa Plochiù in Cavour il 17 luglio 1928. Nato a Mondovì il 27 ottobre 1842, orfano di padre a un anno, cresciuto dalla madre, Enrichetta Plochiù, e dagli zii, laureato in legge a diciott'anni, impiegato al ministero della Giustizia a 22, “prestato” al ministero delle Finanze, ove lavorò con Quintino Sella, Giolitti salì tutti i gradi della burocrazia sino a Consigliere di Stato a soli 40 anni.

Monarchico e liberale, nel 1882 fu eletto deputato alla Camera nel Collegio di Cuneo e guidò la Sinistra Subalpina. Ministro del Tesoro dal 1889, fu cinque volte presidente del Consiglio e ministro per l'Interno tra il 1892 e il 1921. Rieletto deputato nel 1924 con Marcello Soleri ed Egidio Fazio, avversò il governo Mussolini che impose il regime di partito unico. Il 16 marzo 1928 votò alla Camera contro la riforma elettorale che tolse agli italiani la libertà di scegliere i propri rappresentanti. 

La sua opera è consegnata ai cinque tomi su "Giolitti al Governo, in Parlamento e nel Carteggio" (5000 pagine con un migliaio di inediti, a cura di Aldo G. Ricci, sovrintendente dell'Archivio Centrale dello Stato, e pref. di Gianni Rabbia, ed. Fondazione Cassa di Risparmio di Saluzzo) e al volume “Giolitti. Il senso dello Stato” (RusconiLibri, già premio della Presidenza del Consiglio). La sua figura appartiene a chi la studia e la fa conoscere.      

Aldo Mola

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