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Tutto ciò che esce dal mio cassetto dei ricordi a Bra

BRA

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FIORELLA AVALLE NEMOLIS - Quel cassetto con tutto, e di più. E' un vecchio mobiletto in legno da ufficio, composto da quattro cassetti, dotato, in cima, di onorevole ribaltina a mo' di scrittoio, e sotto dispone di tre spaziosi scomparti a vista per classificatori e cataloghi. Un signor mobiletto, di buone maniere.

Stamane, appena alzata, faccio un gesto eroico: apro quei famosi cassetti. Quelli, che sono anni che non vedono la luce. Quelli, che proprio non so che ci sia dentro. Quelli, che per tanti anni ho voluto dimenticare. Quelli, che pur di non buttare via niente, tutto si tenne.

Sono appena le sei. Il cielo è coperto, e l'aria fresca mi ritempra. E' il momento giusto: apro il primo cassetto. Che diamine! Non si apre. Tira e tira, finalmente, viene addirittura via. Me lo trovo in mano. Dire che è affollato, troppo poco. Ma quanta roba ha ingoiato, l'ingordo?

Scopro perché tanta resistenza: c'è una cartolina incastrata. “North Hollywood datata 24/10/03 : indirizzata a Fiorella e Marzio Avalle- Bra (Cn) Italy”. Leggo, è di mia figlia Sara che scrive: “Che dire? Sono a Hollywood. Baci, baci”. E da quel dì è tornata giusto per il visto, poi è volata di nuovo in California. Dove adesso vive e lavora.

Anche lei nomade, tradizione della famiglia Nemolis. Ma per fortuna, con l'avvento di internet, comunicare fu molto più facile. E meno dispendioso. Fu per amore materno che iniziai a connettermi. Passai dai computer mastodontici e fissi al personal computer. Una vera pacchia la video chat. E fu così che le cartoline andarono in pensione.

Intanto Astro, il micio nero di casa, quatto quatto si intrufola nel cassetto e comincia a rovistare. Scompiglia. Escono cartoline, lettere, fogli sparsi. Mi rassegno. Lo lascio fare. A braccia nude evito la lotta impari, le sue graziose unghie bisturi mi farebbero a brandelli.

Gli lascio il campo libero e mi sposto sulla scrivania con un malloppo di carte scompigliato, mal da prendere: cartoline, fotografie, biglietti aerei, biglietti del tram, biglietti di auguri, ricevute di chissà che, e tante lettere. Tra queste ne leggo una di babbo Mario: Bordighera, ottobre 1978.

I miei genitori dopo la pensione si trasferirono in Liguria. “Cara Scimmia, nomignolo affettuoso, cosa stai a fare in quel paese del cucu! D'inverno fa un freddo cane. D'estate un caldo umido, soffocante. Trasferitevi qui, il clima è temperato". Era l'introduzione, la solita litania del babbo. In questa leggo al fondo: “Allegato un biglietto da cinquanta mila lire per il compleanno della bimba (mia figlia Sara). E tu Fiorella, mi raccomando, non fregartele”. Questa era la fiducia del babbo nei miei confronti...

Leggo un po' di corrispondenza. Lettere vergate a mano. Con la stilografica. Un turbinio di pensieri. Finalmente Astro si interessa al secondo cassetto. E torno a rovistare nel primo. Ma chi me l'ha fatto fare di aprire questa dannata voragine del passato? Ma c'è tanto altro. Un guazzabuglio di cose buttate lì, senza senso.

“Quando avrò tempo smisterò e poi qualcosa butterò – mi dicevo e intanto, anno dopo anno, buttavo tutto lì. Come capitava, capitava. E invece, è ancora tutto quì. Presente a ricordare il passato.

E da nomade, mi perdo nel deserto dei ricordi. Soffia un dannato ghibli nella mente. Sibila suoni e scrive sulla sabbia nomi di persone amate, che non ci sono più. E poi il vento li cancella e la lavagna immensa è pronta per scrivere nuove avventure. E mi scompiglia i capelli insieme ai ricordi. Troppi. Sono troppi da leggere. Che fatica. Quasi quasi, ributto tutto dentro. E lo richiudo questo cassetto. Poi si vedrà!

Ma spunta un vecchio ventaglio. Dipinto con scene idilliache di donne ottocentesche in abiti suntuosi e acconciature traballanti a torre di Pisa. Mentre le attorniano i loro cicisbei prostrati in inchini esagerati, con il cappello piumato in mano, che quasi tocca terra. E sfiora il delicato piedino, che spunta dalla sottana della dama. Ah, che audacia!

Ma c'è il tocco finale, l'orribile ventaglio è contornato di pizzo nero. Forse, un cicinin Kich. Fa caldo! Umido! Come aveva ragione babbo Mario, è soffocante. Comincio a sventagliarmi. E Astro con sguardo felino segue il movimento, lo scambia per un gioco e lascio che ci si trastulli. Che altro c'è? Eh c'è, c'è.

Mi tremano le gambe. Mi sento gambero nell'andare indietro nel tempo. Riaffiorano troppe emozioni. Adesso, ormai ho dato inizio alle danze e volteggio alla scoperta di oggetti dimenticati, ormai inutili, fuori tempo. Toh guarda! Il portachiavi della leggendaria Mercedes.

Compiuti i suoi 38 anni, iscritta all'Asi quindi classificata come “auto d'epoca”, aveva fatto fin troppo. La carrozzeria era ormai arrugginita. Il meccanico di fiducia mi disse: “Fiorella, in coscienza questo è l'ultimo collaudo. Rischi di trovarti seduta sull'asfalto con il volante in mano". In officina eravamo in tre, che come contorsionisti, coprivamo i buchi, con mani, piedi, testa, e persino gambe, perché l'ingegnere del collaudo...non vedesse lo stato di decadimento. "Guarda anche tu, dalla parte della guida, ci sono buchi sotto il tappetino. Si vede addirittura la strada”.

E fu così che mi rassegnai. Restaurare la carrozzeria? Impensabile, un vero salasso. Cosi la tradii. La vendetti a un collezionista di Belluno, che venne a prendersela. Il motore era ancora perfetto, rifatto da poco. L'avrebbe sostituito alla sua Mercedes, uguale, uguale alla mia. Carrozzeria in ottimo stato, ma motore fuso. Stesso modello: Mercedes coupé 2005 Ce, iniezione elettronica, immatricolata nel 1972.

Quel disgraziato giorno la vidi uscire dal cancello, scivolare nella via con quel suo bel culetto sagomato, sorretto dal maestoso paraurti in acciaio lucente, e che tante, tante volte aveva sculettato sul bagnato, e sulla neve e sul ghiaccio poi... In piazza Carlo Alberto, bella spaziosa, quante gare notturne di drifting, alla buona. Puro divertimento. Se ne stava andando un pezzetto della mia vita. Attrazione fatale per quel pachiderma, armonioso e solido. Un carrarmato. Imponente, indistruttibile. Ma, anche a trazione “posteriore”, tanto pericolosa sul bagnato.

Finché dopo la curva non la vidi più scendere elegante, come una vecchia signora aristocratica. Meno aristocratico il suo borbottio “sospetto”, quasi un rimbrotto che tradussi: “Perché mi abbandoni? Crumira. Mi baratti per quattro soldi che prendi dal mio motore. Un crudele trapianto di cuore su una mia gemella".

Vergogna! Con tutto quello che t'ho scorrazzata. Mai un guasto. Sì, è vero, qualche difettuccio della carrozzeria. Per due gocce di pioggia che si infiltravano nel baule. Ma che sarà mai ogni tanto un pediluvio? E per questo mi chiamavi vasca da bagno. Sei senza cuore. Mi mancherai lo stesso, crudele ingrata!”

E babbo Mario, quando la comprai: “Ma sei matta? Non andava bene la tua fedele Renault erre 4! Spendacciona! E poi che te ne fai di girare con quel macchinone!” Da che pulpito, proprio lui alla guida della sua coupè Ford Capri, con quel muso alto e lungo, senza visibilità. Immettersi sull'Aurelia era un rischio, spesso gliene portavano via un a fetta.

Ribadii che la fedele erre 4 era in fin di vita. E che il macchinone, comprato di seconda mano, mi costava come una 126 Fiat nuova. E che avrebbe fatto un onorato e lungo servizio. E 38 anni dopo, il tempo mi dette ragione. Quando non ne potei più di dividere il Ford Transit di Marzio, con strisce verde chiaro e verde scuro, con il logo “Map”, mi decisi ad entrare nella concessionaria Fiat in viale Madonna dei Fiori a Bra. Il venditore, il caro amico Walter Carbone, mi chiese su che auto volessi orientarmi.

“Ormai non mi importa più di avere un'auto bella e prestante. Quattro ruote. Un mezzo di trasporto. Niente di più”.

E cos'altro c'è nel cassetto? Tanto, di tutto e di più. Alla prossima.

Fiorella Avalle Nemolis

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