Meteo Radio Stereo 5 Euroregion Facebook Twitter Youtube Linkedin

Reato di inquinamento ambientale: la Cassazione fa chiarezza

CUNEO

Foto
Condividi FB

ANDREA PORRO - A distanza di decenni dai dibattiti e dalla iniziative legislative non andate a buon fine e solo dopo il verificarsi di rilevanti casi di disastro ambientale in Italia - tra i più recenti, la vicenda Eternit -, nel maggio 2015 è entrata in vigore la legge 68/2015 che ha apportato modifiche significative al codice penale ed al testo unico sull’ambiente.

Tra le novità introdotte, è innegabilmente assai rilevante l’introduzione del reato di inquinamento ambientale nell’ambito dell’art. 452 bis del codice penale, del quale la Suprema Corte di Cassazione ha fornito nel novembre 2016, con la sentenza n. 46170/2016, una prima interpretazione giurisprudenziale del reato di inquinamento ambientale.

La legge 68/2015 ha rappresentato il punto di arrivo di un iter legislativo a lungo atteso e caratterizzato da campagne di stampa ed accese polemiche, comportando un’ampia revisione del settore ambientale nel diritto penale, adeguandolo al contesto normativo europeo e, in particolare, alla Direttiva 2008/99/CE.

Infatti, diversamente da quanto previsto nella normativa interna previgente alla riforma, la direttiva europea ha rafforzato il livello di protezione penale, obbligando all’introduzione di fattispecie incriminatrici di condotte concretamente lesive del bene ambiente, con correlativa graduazione proporzionale della sanzione in relazione alla gravità dell’offesa cagionata.

Nella prima pronuncia di legittimità in materia di inquinamento ambientale, la Suprema Corte di Cassazione, da un lato, ha confermato l’importanza del ruolo affidato alla giurisprudenza nella delimitazione di concetti normativi vaghi e generici, dall’altro lato, ha avvalorato la teoria secondo la quale al giudice spetti un ruolo di verifica attiva delle condizioni materiali e giuridiche della condotta e non di controllo formale di provvedimenti amministrativi.

In sostanza, nel caso di specie, la Suprema Corte di Cassazione - fornendo per la prima volta i punti fermi della norma incriminatrice in questione - ha stabilito che il reato di inquinamento ambientale consiste in un’alterazione ambientale rilevante anche se reversibile e non tendenzialmente irrimediabile anche se quantitativamente apprezzabile o concretamente accertabile; tuttavia, detta alterazione, non provoca eventi più gravi che caratterizzano, invece, il reato di disastro ambientale.

Tali indicazioni appaiono sicuramente preziose, poiché chiariscono l’interpretazione dell’art. 452 bis cod. pen. che, a prima vista, sembra richiamare valutazioni tecniche al fine di accertare la gravità della compromissione e del deterioramento ma, nonostante ciò, la norma sembra ancora caratterizzata da un notevole grado di incertezza e discrezionalità legata, soprattutto, all’oggetto materiale del reato.

Infatti, il caso sottoposto alla Suprema Corte di Cassazione segnala come una stessa condotta - la bonifica dei fondali di due moli del golfo di La Spezia, in violazione di prescrizioni amministrative antinquinamento - possa provocare effetti dannosi per più di un oggetto materiale del reato in questione.

Così l’impatto della contaminazione, nel caso di specie, può essere valutato in modo diverso a seconda che lo si riferisca alla fauna, alla qualità delle acque, all’ecosistema o agli usi legittimi della matrice ambientale.

In tale ottica, le strategie di accusa, per essere efficaci, devono individuare sin dall’inizio l’oggetto materiale rispetto al quale sia più facile la prova della compromissione e del deterioramento: più agevole sarà la prova del danno sulla flora o sulla fauna, mentre più complicata sarà la prova del danno rispetto sia all’alterazione della qualità delle acque, sia rispetto all’ecosistema.

Inoltre, la Suprema Corte di Cassazione, da un lato, ha evidenziato la circostanza che le modalità di esecuzione dei lavori sarebbero state conseguenza di una scelta imprenditoriale precisa da parte dell’imputato - per la celere conclusione dell’intervento, con un conseguente abbattimento dei costi ed un maggior profitto -, dall’altro, la piena consapevolezza, da parte dei responsabili dell’azienda incaricata, della condotta abusiva.

In conclusione, nonostante alcune questioni interpretative ancora irrisolte, la sentenza della Suprema Corte di Cassazione non può che essere accolta in senso favorevole dato che quest’ultima sembra “prendere sul serio” il reato di inquinamento ambientale, fornendo strumenti per qualificarlo ed evidenziando come sia possibile un effettivo accertamento, nel procedimento penale, del reato attraverso le risorse investigative utilizzabili nelle indagini e quelle euristiche utilizzate nel processo.

E’, quindi, auspicabile che la Suprema Corte di Cassazione continui nell’opera di chiarimento e semplificazione delle nuove disposizioni normative, in modo da consentire un’applicazione efficace di un delitto che ha ricadute rilevantissime sull’ambiente, oltre che sulla salute dei cittadini.

Andrea Porro

VIDEO