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Quel funerale di Vanzetti a Villafalletto su cui ancora non si era detto tutto

SAVIGLIANO

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CRISTOFORO BEGGIAMI - Quando nel 1977 la combattiva Vincenzina Vanzetti - sorella dell'anarchico Bartolomeo, sacrificato sulla sedia elettrica con l'amico Nicola Sacco nella notte del 23 agosto 1927 nel carcere di Charlestown, Boston - fu informata del fatto che il governatore del Massachusetts, Michael Dukakis, aveva deciso di dedicare una giornata alla memoria dei due italiani, assumendosi la responsabilità di una condanna ingiusta che aveva scandalizzato il mondo, confidò ai presenti che il suo obiettivo, quello di riabilitare la memoria del fratello, era stato raggiunto. La sue parole la dicono lunga sull'importanza ch'ella assegnò alla sua battaglia: «Adesso posso anche morire in pace!», confidò al nipote Giovanni, indicando così la fine di una storia che l'aveva vista per circa vent'anni sempre in prima fila a sostenere una battaglia a tutto campo per il riconoscimento dell'innocenza del fratello e del suo amico Sacco.

Da quel periodo sono trascorsi ormai quarant'anni e dal giorno dell'esecuzione, avvenuta in un'afosa notte di agosto in una Boston militarizzata, in uno Stato spaventato e in una Nazione costernata, stanno per raggiungersi i novant'anni. Quasi un secolo dal giorno in cui Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti furono fermati a South Bridgewater mentre su un tram sferragliante stavano ritornando a casa dopo un incontro con due amici andato a monte.

Sin da subito immaginarono di essere stati arrestati perché sovversivi, perché contrari alle politiche restrittive e razziste americane, perché attivi ormai da tempo nelle battaglie sociali combattute dagli emigrati italiani, nelle fabbriche, nelle città, nelle campagne. Desideravano che potesse concretizzarsi la scuola per tutti, che la giustizia potesse entrare nei luoghi di lavoro, che gli immigrati potessero essere trattati come persone civili e che la serenità di una vita «normale» ed onesta potesse diventare prerogativa di tutti coloro che avevano lasciato la loro nazione d'origine per raggiungere località sconosciute e mettersi a disposione di chi, più fortunato e più benestante, disponeva della possibilità di farli sopravvivere. Invece vennero accusati quasi subito di una rapina, di una tentata rapina, di un duplice omicidio, fatti avvenuti in luoghi, tempi e circostanze a loro lontani.

Non solo le testimoninanze erano in condizione di confermarlo, ma anche i documenti rappresentavano la certezza della loro estraneità ai fatti e quindi della loro totale innocenza. Ma la giustizia, quella che loro rivendicavano per gli amici italiani, per i compagni di lavoro, per tutti, nei loro confronti fu piuttosto amara: un tribunale desueto e razzista non volle sentir ragione e si sbarazzò facilmente di chi li difendeva (la maggior parte era formata da italiani, quindi giudicati non attendibili!) sentenziando nel giudizio finale, senza mezze misure e senza il dubbio dell'errore, che i due meritavano soltanto la sedia elettrica.

Sette anni di grandi battaglie misero il mondo intero di fronte all'ignominosa scelta americana: sette anni che servirono alla difesa a smontare tutte le tesi dell'accusa e a presentare i veri responsabili dei fatti criminosi, ma non fu sufficiente a convincere il pubblico ministero, il presidente del tribunale, il governatore del Massachusetts ed il presidente statunitense. Così, tra le proteste del mondo, la notte del 23 agosto 1927 la corrente elettrica passò nel corpo di Nicola e Bartolomeo. Il mondo si fermò attonito, per qualche ora, per qualche giorno. I due umili italiani di Villafalletto e di Torremaggiore assursero a simbolo universale, dei loro tempi ma anche dei lustri e dei secoli a venire, dell'ingiustizia e dell'inciviltà umana.

Al loro funerale prese parte quasi mezzo milione di persone, manifestazioni di protesta -anche violente- si tennero in ogni dove, la memoria della loro fine -come avevano sentienziato in molti- divenne motivo di disonore per un paese, gli Stati Uniti, che si considerava democratico ed aperto. Luigina, la sorella di Bartolomeo, lasciò il negozietto di famiglia a Villafalletto e raggiunse la «Merica», dove rivide, per un paio di giorni e dopo vent'anni, lo sfortunato fratello. Lo accompagnò al calvario. Poi tornò con le sue ceneri -e con quelle dello sventurato amico, Nicola- per seppellirle nel luogo ove già riposavano le spoglie dei loro avi. La storia di una vicenda crudele ed impossibile si ferma a questo punto.

Ma la memoria, che sino ad oggi ha prodotto centinaia e centinaia di libri, in tutte le lingue, sollecitando l'intervento di migliaia e migliaia di studiosi, continua ad essere viva e a confrontarsi con la vicenda e con le sue conseguenze. Chi più di altri - e ormai da oltre mezzo secolo - si è occupato del caso, è Luigi Botta. Che puntualmente fa ricerca, scrive, relaziona ed aggiorna di nuove notizie la storia di Nick e Bart. Di recente ha pubblicato, per conto dell'editore romano Nova Delphi Libri, un volume che affronta un argomento del tutto sconosciuto. Quello del funerale dei due italiani e del destino delle loro ceneri. Indagando documenti sconosciuti ed inediti, ordinandoli cronologicamente e studiandoli sulla base delle sue conoscenze, arriva a sostenere tesi prima d'ora del tutto inesplorate ed ignorate.

Luigi Botta percorre passo a passo le trattative per lo svolgimento delle esequie, narrandone poi in dettaglio il loro percorso, per le otto miglia che dividono Hannover street, dove le salme sono state esposte, dal cimitero di Forest Hills. Poi racconta delle ceneri. Del loro sequestro, degli atti ufficiali che le riguardano, delle volontà popolari e familiari, delle reali difficoltà nel mettere tutti d'accordo, del desiderio di Luigina di rispettare il volere del padre nel riportare l'urna al paese d'origine. E scopre, indagando i documenti e le lettere dell'epoca e contrariamente a quanto la credenza popolare ha sempre sostenuto, che le ceneri di Nicola e Bartolomeo non sono mai state mescolate, che hanno sempre seguito il loro destino in urne separate, sino alla loro sepoltura a Villafalletto e a Torremaggiore.

Un libro di quasi duecento pagine (accompagnato dal dvd con il filmato del funerale ed una lunga intervista con l'autore) che si avvale anche dell'introduzione del nipote di Bartolomeo, Giovanni Vanzetti, e del contributo di due studiosi americani, Robert D'Attilio e Jerry Kaplan. Un libro che, nonostante l'argomento affrontato, si fa leggere d'un fiato, quasi come un romanzo.

Luigi Botta, «La marcia del dolore - I funerali di Sacco e Vanzetti - Una storia del Novecento» (introduzione di Giovanni Vanzetti e contributi di Robert D'Attilio e Jerry Kaplan), Nova Delphi Libri, Roma, euro 18. Allegato un dvd della durata di 25 minuti prodotto da «Filmika» di Torino.

Cristoforo Beggiami

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