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Non ferma le sue mani d'oro "Rudin", restauratore e pittore di Bra

BRA

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FIORELLA AVALLE NEMOLIS - Il braidese Giovanni Racca, classe 1941, lo conoscevo solo di fama: apprezzatissimo decoratore, pittore, laccatore, restauratore di dipinti antichi. E altro ancora. Insomma, mani d'oro, come la sfoglia che usa per restaurare pregiatissime cornici di dipinti antichi di pittori famosi.

Lo incontro, grazie a una foto del 1954, che so da un comune amico Giovanni conserva gelosamente. E' in bianco e nero, di quelle ancora dentellate attorno, ma è ben conservata. Per fortuna c'è ancora chi ha testimonianze cartacee. Immortala quattro giovanissimi artigiani, tutti amici tra loro, mentre eseguivano un lavoro per il negozio di ottica di Alfarano, nella centralissima via Cavour a Bra. Uno scoop storico!

Giovanni ce la illustra: il nostro personaggio, detto "Rudin", è il primo da destra, appoggiato alla scala di legno, suo prezioso attrezzo di lavoro, aperta sul marciapiede. Indossa abiti da lavoro: pantaloni imbrattati di colore, giacchetta smilza e quel classico berretto a bustina, di solito confezionato con la carta di giornale. Insieme a lui, sorridenti e spontanei, ci sono Mario Cavallero, detto "Gianetu", lattoniere con la borsa dei ferri a tracolla; Matteo Cravero, detto "Calina", decoratore e laccatore; e Giovanni Milanesio, detto "Dublé", falegname.

“Che rapporti avevate tra voi?”

"Ci conoscevamo tutti e ci frequentavamo ogni giorno. Ognuno aveva un soprannome. A quei tempi era così. Con Gianetu, il tulè, eravamo sempre insieme. Legatissimi. Come fratelli. Erano anni bellissimi".

Narra la vita di provincia degli anni '50, scandita da tempi lenti. Narra di solidarietà:

“Tutti i nostri vicini di casa, tra cui i genitori di Giovanni Badellino, proprietario dell'ononimo ristorante; il panettiere, lo stalliere, insomma tutti gli abitanti del cortile si presero cura di noi. Mio padre era militare e mia madre sola, doveva occuparsi di noi fratelli. Malgrado tutte le peripezie, e le privazioni, rimpiango quegli anni. Ci si aiutava tutti”.

Intanto ci mostra uno dei laboratori, dove restaura quadri e oggetti. E' piccolo, raccolto. Carico di storia, tra una sfilata di pennelli, ordinatissimi, tanti tubetti e lattine di colore e altri attrezzi da lavoro. In mezzo, un grande tavolo sgombro, dove faceva e ancora fa le sue magie. Dipinge ancora. Tutti i santi giorni. La tavolozza è ancora fresca di colore.

Ci mostra album e album di foto di tutti i lavori eseguiti. Una raccolta infinita, in cui mostra il prima e il dopo del restauro. Dipinti appena accennati, qualche traccia, che Giovanni ha riportato alla luce in punta di pennello. Immenso il suo percorso artigianale artistico. “Ho lavorato per i migliori antiquari della zona, da Passone, Accorsi, Cagnasso, Della Piana, e anche fuori, in veneto. C'era tantissimo lavoro con il restauro di quadri antichi di gran valore e mobili, tanti mobili che arredavano castelli e chiese".

“Come ha imparato il mestiere?"

“E' un mestiere di famiglia. Il mio bisnonno era già pittore di chiese. Dopo l'avviamento professionale, ho frequentato per due anni le scuole serali San Carlo a Torino, in via Vicolo Benevello. Ma ho smesso, perchè dovevo dedicarmi al lavoro. Al secondo anno, avevo già vinto diversi premi, fu il mio insegnante stesso a consigliarmi di dedicarmi solo al lavoro. E cosi' feci. Ho passato notti e notti a lavorare. Può testimoniarlo mia moglie, e lei sempre con me, ad aiutarmi a restaurare mobili. Facevamo tutto insieme, anche gli acquisti per i materiali. Ho passato un periodo in cui dormivo tre, quattro ore al massimo per notte tanto era il lavoro!

“E oggi?”

“Dipingo tutti i giorni e traffico fino a mezzanotte. E d'estate vado nell'orto e lavoro fino alle 10 anche 11 di sera. Ho persino la luce nell'orto. E continuo ancora a perlustrare le grotte. Non mi va di stare a fare niente. Don Sergio Boarino, il parroco della Madonna dei Fiori, ha commentato così la mia frenetica attività: “Fatti un diario di tutto ciò che fai nella giornata, e con la carta d'identità in mano, rileggi bene e vedi che è ora di rallentare il ritmo”.

Ma Giovanni è sordo, continua a progettare e fare fino allo sfinimento. E in questo mi ricorda il suo grande amico Padre Ettore, frate capuccino. Un personaggio di grande spessore. “Un amico che ricorda con tanta nostalgia”...

“E' senz'altro Padre Ettore. Con lui ho vissuto tre quarti della mia vita. Padre Ettore, Giovanni Pietro Molinaro, era un frate capuccino. Grande protagonista della vita braidese: un'eccezionale e poliedrica personalità di religioso, di uomo di scienza, di promotore della cultura e delle arti. Si deve a lui la rinascita del Museo Civico Craveri di Scienze Naturali di Bra. Un esempio di grande umanità”.

“Mi racconti della vostra lunga amicizia...”

“Ho collaborato con lui per vent'anni. Al museo Craveri di Scienze Naturali di Bra ero il suo principale collaboratore tecnico. Condividevo tutto con lui. Trascorrevamo tanto tempo insieme. E' stato lui a contagiarmi con la passione per la speleologia: i buchi neri, come li chiamavamo. Padre Ettore era il mio confessore, il mio dottore, il mio avvocato. Di lui ho anche scritto! - e ridendo afferma – so anche scrivere! Data la lunghissima frequentazione con lui, ho fornito tutti i dati per il suo curriculum vitae. A leggerlo, c'è da mettersi le mani nei capelli. Tanto è lungo e articolato".

“Altri lati del suo carattere?”

“Era generoso all'inverosimile. Non si curava neppure della sua incolumità. Suonavano in continuazione alla porta di casa sua. Anche di notte, e lui, dava denaro a tutti. Donava tutto ciò che aveva. Era una persona particolare. Neanche San Francesco dormiva come lui. Nessuna comodità. Mi manca tantissimo”.

Ma anche Alessandro, il nipote di Giovanni, segue la tradizione di famiglia. Liceo artistico e ora ha intrapreso gli studi da designer.

“Alessandro, mio nipote, aveva solo 5 anni quando già mi aiutava nel restauro delle pale d'altare. Lavoravano fuori, all'aperto, non ci stavano in laboratorio, così me lo mettevo sulle spalle, e con la tavalozza mi preparava già i fondi marrone scuro. Era ed è bravissimo a dipingere”.

Giovanni ormai ha lasciato l'attività e abita nella casa in via Veneria 22, dove ha il laboratorio, ma la tradizione dei Racca continua, con il figlio Achille, che poco più in là nella via ha aperto uno showroon.

E spiega: “Il negozio e' la vetrina, riassume un po' di cosa ci occupiamo, sia nel restauro che nella creazione e anche nel complemento di arredo, un po' particolare, frutto di una mia ricerca”.

Insomma c'è una continuità nella famiglia Racca, che, pur aggiornandosi, offre grandi capacità artigianali e artistiche. Talento, passione, e tanto lavoro.

“Quando mi alzo al mattino, ho un po' di dolorini dappertutto, ma non gliela do vinta, mi alzo e dipingo. E mi passa tutto”.

Per Giovanni, l'antidolorifco più efficace è la passione.

Fiorella Avalle Nemolis

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