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Natura e uccelli nella vita di Mimmo che a Sanfré ha trovato la libertà

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FIORELLA AVALLE NEMOLIS - Mimmo Ferro, esperto ornitologo, alla ricerca della libertà, in un mondo rurale, per scelta.

Una stradina nel bosco, sterrata, ombreggiata. Piacevole nel primo giorno caldo di maggio. All'improvviso un cancello aperto e ci troviamo nell'ampio cortile della cascina del priore di Sanfrè (Cuneo). Ci abita il signor Mimmo Ferro.

E' una persona distinta. Dichiara subito la sua età, 80 anni compiuti, che non dimostra. Alto, bel portamento, lineamenti regolari e uno sguardo empatico. Penetrante. Sorride, accoglie, e ascolta. Mi parla di mio padre. L'ha conosciuto tempo fa. Vuole sapere di lui. Rispondo alle sue domande, discretissime, affettuose. Fatico a farlo parlare di sé. E fatico a smettere di parlare della mia famiglia.

Ha un suo modo garbato di entrare nel profondo. Scopro in seguito che ha insegnato. Intanto l'amico Piero Mollo, che mi ha accompagnato, mi rammenta che siamo qui per l'intervista.

“Sono nato a Savona, durante la guerra, ci siamo trasferiti a Sanfrè, in questa cascina, che era la dote della mia nonna materna. Avevo quattro anni, mi sono subito ambientato e innamorato di questi posti: della natura e degli uccelli.”

“Cosa l'ha rapito di questo posto?”

“La libertà, sicuro. Mi definisco un selvaggio. Non avevo orari. E non ero neanche un po' obbediente. Ho preoccupato molto mia madre, quando sparivo per mezze giornate intere. Giravo ovunque. Alla scoperta dei nidi di uccelli. Dopo la guerra, tornammo a vivere a Savona. Ma ero triste, mi mancava la libertà, mi mancava questo posto. A scuola mi sistemavo sempre accanto alla finestra. Volevo guardare fuori. Per fortuna trascorrevamo qui l'estate.”

Mentre parla, fatico a pensarlo selvaggio. Ha bei modi e stile innato. E' curato, elegante, indossa pantaloni di velluto a coste verde salvia, camicia a quadri con maniche risvoltate, e gilet di lana blu, scollato a punta. Una mise insolita per stare in cascina. Eppure, le mani sono da lavoratore: nodose, screpolate e ruvide. Mi colpisce questa contraddizione.

Racconta della sua vita. Tono pacato. Giuste pause. E, negli occhi, che cercano ancora libertà, c'è tanta dolcezza, nostalgia, e anche un velo di malinconia. Accenna alla moglie, scomparsa due anni or sono. Gli manca l'affetto e il tocco femminile. Si scusa per il disordine.

“Tornando al periodo in cui vivevo a Savona, dopo il liceo, desideravo iscrivermi ad agraria, che a Genova non c'era ancora. Così l'ultimo giorno utile per l'iscrizione, dissi a un mio amico “Iscrivimi tu. Dove vuoi, basta che non sia medicina.”

Scelse giurisprudenza. Mi venne un accidente. Ripensandoci, il mio amico ha scelto bene. Giurisprudenza mi ha dato tante possibilità di lavoro. Ho poi scelto l'insegnamento che ho svolto in Piemonte. Ma, appena ho potuto, ho iniziato a fare l'agricoltore. Per fortuna mia moglie mi ha assecondato nelle mie scelte e mi ha facilitato la vita.”

“Da cosa è scaturita la passione e poi la conoscenza così approfondita dell'ornitologia?”

“Credo sia innata. Da bambino giravo con la scatoletta piena di sale, avevo sentito dire del sale sulla coda. A quei tempi tutti i ragazzi conoscevano la natura, gli uccelli, i nidi. Mi interessava molto la conoscenza delle specie. In Liguria, l'uccello è visto come animale da tenere in gabbia, da curare, da volergli bene. Ho imparato dai miei compagni di scuola a conoscere le specie e anche a distinguere quelli commestibili da quelli no.”

“A lei cosa dice il canto degli uccelli?”

“Dipende dalle stagioni. In primavera sono canti molto importanti. E' il maschio che canta. E' il richiamo per la femmina e la difesa del territorio dove nidificare. La femmina è molto esigente, esamina bene il posto, si assicura che ci siano risorse alimentari sufficienti, e che non ci siano pericoli. Per esempio i gatti. Il maschio deve dimostrare la sua bravura come futuro padre. Fa dimostrazione di volo acrobatico. Eseguono vere parate aeree. Quelle dei falchi sono spettacolari. Dall'alto, chiudono le ali, lasciandosi cadere a peso morto verso terra. Naturalmente, i più coraggiosi, aprono le ali all'ultimo momento. Danno maggiore affidabilità per il vitto della famiglia. Questo vale per la stragrande maggioranza degli uccelli. Tutte le femmine ogni anno cercano di migliorare la propria condizione di mamma. Alcune specie, invece, sono fedeli tutta la vita, quando scocca la scintilla di affidabilità e anche di amore. Perché gli uccelli si vogliono bene. Pur non migrando insieme, non svernando insieme. I maschi partono, e tornano prima delle femmine, per occupare i posti migliori per la nidificazione”.

“Come accertate i flussi migratori?”

“Nell'osservatorio della Cascina Serralunga, a Baldissero d'Alba, sistemiamo un anello ad ognuno con un numero diverso, per individuare esattamente l'uccello a cui è stato posto. Tutta l'operazione viene registrata, e ci permette di sapere da chi è formata la famiglia.”

“Una specie che le piace di più?”

“Le dirò quello che mi dà più dispiacere al giorno d'oggi: il colombaccio. E' un uccello selvaggio, nobile, schivo, con mille prerogative di selvaticità. Oggi si è imborghesito. Vive tranquillamente in città e nei paesi. Invece, mi fanno tenerezza quelli molto piccoli. Che pesano pochi grammi. E che devono attraversare il mare e il deserto. Ce la mettono tutta per arrivare per primi, ma ci riescono solo se hanno cibo a sufficienza da ingrassarsi. La scorta di energie è necessaria per viaggiare. Certi anni se ne trovano un numero impressionante di morti sulle piccole isole. Per questo fanno tenerezza. E' sorprendente, quanto tutto sia codificato sui flussi migratori degli uccelli.”

“Cosa prova nel sentire il canto degli uccelli?”

“Un gran piacere quando si tratta di un uccello raro. Perché è una presenza certa di una specie dubbia. O magari assente. E' un fatto puramente scientifico, non sentimentale. Il canto degli uccelli può essere un allarme, per esempio mi avvisa della presenza di una volpe. O di un predatore. Un falco".

“Lei è un appassionato cacciatore. Non comprendo la contraddizione, tra i suoi mdi dolci, la sua pacatezza, e la caccia. Uccidere gli animali".

“Infatti è una contraddizione. Come giustificazione, ho sempre avuto il desiderio di portare degli animali come carne. Come un qualcosa di utile alla famiglia, un nutrimento. In genere si faceva la provvista di selvaggina durante il periodo venatorio. Mia moglie era molto attenta nel non sprecare e utilizzare tutto. Persino con le ossa delle pecore, ne abbiamo tenute tante, faceva i dadi da brodo. Questo ha giocato un ruolo importante nella nostra vita agreste. Vede, so che il mio nipotino, che vive a Trento, ama la carne di cinghiale. E stamattina sono andato volentieri a cacciare il cinghiale, proprio nella speranza di procurargliene di nuovo un po'. L'animale, anche quello domestico che teniamo qua, ha sempre avuto la funzione di utilizzarlo nell'alimentazione.”

Intanto prendo ampio respiro e mi sento parte pulsante dell'immagine rurale che mi circonda. Mi nutre, ritempra. L'ampio salice che arriva a terra, ombreggia, dà ristoro solo a vederlo. Galline accovacciate su panche rustiche contro la casa. Galli con piume coloratissime, ruspanti, irrequieti.

Tra questi, impera Napoleone, piume sfumate dal giallo oro, all'ocra, al marrone bruciato. Girella impettito. Solitario. La fila di grandi vasi di limoni profumati. Luce già estiva e ombre verdi di ristoro. Comprendo il signor Mimmo. E so che è un momento magico. Che non tornerà.

“Quindi, nessun rimpianto?"

“Sono contentissimo di come ho vissuto. Ora, purtroppo sono solo. La vita non è più come prima. D'altronde 80 anni li ho compiuti. Finché la salute mi assiste, non andrò via di qua. Certo è che il modo di avvicinarmi agli uccelli mi mantiene vivo l'interesse per tutta la vita. Ce ne vorrà ancora di tempo per scoprire tanto altro su queste creature!”.

Fiorella Avalle Nemolis

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