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Langhe nel cuore dal 1977 con Oscar Barile sulla tv a colori

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TERESIO ASOLA - Giro l’indice sul bordo del mio bicchiere. Cerco ispirazione, come faceva papà col cucchiaino dentro la tazzina di caffè a rimestare all’infinito caffè e zucchero al bar Berta, concentrato sulla schedina della Sisal, prima, e del Totocalcio, poi, la penna biro Parker d’argento a far capolino dal taschino esterno della giacca, pronta a disegnare, preciso come sul tecnigrafo, le X, e gli 1 e i 2.

Insindacabili, certi miei compagni. Invece io ero sul più bello che mi mettevo in discussione: tutto era sindacabile, io per primo. Ogni cosa poteva essere X, 1 o 2. O tutto insieme. Avevo sedici anni e mezzo e pensavo di dover uscire, se volevo trovare le mie certezze.

Vedere. Esplorare. Come, a modo suo, aveva fatto il giovane langhetto dalle tonde guanciotte rosse di aria di collina, Oscar Barile, campione per svariate puntate a inizio di quel ‘77 a Scommettiamo?, esperto di storia, cultura, arte delle Langhe del cui dialetto sfoggiava in trasmissione una bella inflessione. Che aveva avuto il coraggio ed era uscito, pur solo per un po’ di trasmissioni, oltre il catino di Alba, le Langhe nel cuore.

Anno pesante, il ‘77, per il mondo. Non bastava tutto il belletto che l’industria dell’intrattenimento televisivo cercava di spalmare sul volto cupo del pianeta. Dell’Italia in particolare.

La Rai avviava ufficialmente i programmi a colori, ma noi da un paio d’anni possedevamo l’apparecchio a colori (un Grundig dopo il Telefunken, definitivamente votati alla tecnologia tedesca) col quale guardavamo i programmi della tivù svizzera. Carosello finì, quell’anno. Meno male che a dicembre incominciò su Rai 1 Happy Days, che ogni sera alle 19,10 portava storie dagli anni ’50 e ’60 di una Milwaukee che anche a pronunciarla pareva pianeta di un’altra galassia, e personaggi simpatici: Marion, Howard, Richie e Joanie Cunningham, e gli amici Fonzie, Richie, Potzie, Ralph.

Intanto, Mal dei Primitives cantava Furia, sigla della serie televisiva americana, diventata per noi un tormentone e per lui una condanna artistica. Io e papà prendevamo in giro mia sorella, per Mal. Anche il nome ci faceva ridere.

E poi, le mettevo sotto il naso i fotoromanzi interpretati da lui, su Sogno e Grand Hotel, che giravano per casa perché lei li scambiava con le amiche come io da piccolo con le figurine dei calciatori. Ne imitavo le pose, ridevo e lei si arrabbiava, anche perché non le piaceva che io rovistassi fra le sue riviste. Le dicevo che doveva essere contenta perché non cercavo più i suoi diari d’amore stenografati, per leggere i quali avevo imparato il metodo Cima.

I fotoromanzi tiravano nove milioni di copie al mese, cinque la sola Lancio. Persino io, di nascosto da mia sorella, li sfogliavo. Così assemblati, parevano storyboard di film. Se lei non trovava il suo fotoromanzo, veniva da me. E si arrabbiava.

A lei piacevano Franco Gasparri, Jean Mary Carletto, Franco Dani, Claudio De Renzi, e a me Claudia Rivelli, Adriana Rame, Michela Roc, Katiuscia. Quest’ultima anche per il nome: mi hanno fatto sempre tenerezza le persone dal nome astruso come il mio. E i miei storcevano il naso quando guardavamo alla tele «es caplun cun el urcin»: Awana Gana, conduttore con Jocelyn e Sophie su Telemontecarlo di Un peu d'amour, d'amitié et beaucoup de musique dimenando i lunghi ricci neri e facendo ballare l’orecchino ad anello mentre parlava agitando il baffone piratesco girato in basso.

Radiomontecarlo mi era simpatica da quando alle medie ero andato con Alex e altri due compagni al camper a vetri alla Fiera del Tartufo nel cortile della Maddalena, da cui trasmettevano.

Noi guardavamo da sotto Luisella, la conduttrice del programma La roulette dei tappini, che parlava al microfono con le cuffie in testa. Pioveva. Ci fece cenno di salire. In trasmissione. Chiese a tutti a chi volessimo dedicare una canzone: «Ai miei genitori e a mia sorella» riuscii a dire, il cuore in gola. Radunai poi la famiglia, quando due giorni dopo la radio trasmise la mia frase.

Tutto questo dava un tocco di sereno su un mare, fuori, sempre più increspato.

Teresio Asola

(Foto dal profilo facebook di Oscar Barile)

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