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La maratona per rieducare i carcerati: ne parla l'antropologo sportivo Paolo Maccagno a Bra

BRA

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FIORELLA AVALLE NEMOLIS - Al palazzo Traversa di Bra, un incontro speciale con Paolo Maccagno, antropologo-maratoneta.

Forse, può sorprendere che un antropologo come Paolo Maccagno, ricercatore al Department of Antropology dell'Università di Aberdeen (Scozia), sia anche un runner di maratona.

Nell'immaginario collettivo, credo, si pensi ai ricercatori seduti a una scrivania, sommersi da pile scomposte di libri. Relegati in uno spazio chiuso. Con il computer sempre in stand by. Oppure in laboratori, tra provette, ampolle, alambicchi, e microscopi. Insomma con simili aggeggi.

E invece no. Il motivo è che Paolo Maccagno utilizza la maratona come metodo rieducativo, ma, sopratutto liberatorio per detenuti di carceri italiane e scozzesi.

Ci ha illustrato come sia arrivato a realizzare un progetto così complesso, così complicato, e direi, molto innovativo. Come entrare in un carcere e proporre a dei detenuti l'esperienza della maratona.

Certo, le domande che ci si pongono sono tantissime. Ma, Paolo Maccagno, con la semplicità dei grandi, si è messo in gioco di fronte a un pubblico numeroso e curioso di capire.

Ha parlato com'è nato questo progetto: la sua curiosità e il desiderio di partecipare alla maratona.
Non è stato un caso la sua scelta, perché quello della maratona è uno sguardo diverso dalla realtà. Ci ha portato in quel mondo, anche attraverso video proiezioni, di diverso genere. Quelle che mostrano i detenuti mentre corrono attorno al muro delle carceri, è piuttosto toccante.

Rende l'idea, in minimissima parte, che significhi trovarsi chiusi. In cella, o in spazi comuni, o all'aperto ma, ma sempre tra mura cintate. O il volto di un bimbo che guarda attraverso a una serranda, il carcere, e chiede al papà perché non stia con lui.

“Correre una maratona mi ha fatto sentire vivo. E' questo il presupposto da cui sono partito, quello che mi fa continuare a correre e che mi ha spinto a riflettere scrivendo questo libro.” 

Cito le parole dal suo libro dal titolo: “Lungo e lento. Maratona e pratica del limite.”

Già perché ha sentito il piacere di condividere la sua esperienza, trattando sull'umano e i suoi limiti. Il suo ritmo è quello della maratona, che assomiglia a un'esplorazione di possibilità, assomiglia all'evoluzione.”

L'intervento del professore Adalberto Bianchi, presidente dell'associazione Amici dei Musei”, è stato illuminante nel leggere alcuni passi dell'opera di Paolo Maccagno, che, a sua volta, ha commentato, spiegando l'essenza della maratona.
Infatti, la maratona, può sembrare una contraddizione, perché lunga e lenta, invece ci permette di cogliere la percezione del limite del nostro fisico e della fatica. Al di là della gara. Della competizione. L'importante è arrivare.

Il tempo è scorso in un baleno. Ho provato grande emozione. Amo camminare, per chilometri e chilometri, con un'andatura adatta al mio fisico e alla mia età. Nel farlo provo gioia e libertà. Sovente mi chiedono perché fare tutta questa fatica, e se sia una scelta per perdere peso.

Rispondo che è un piacere. E' un senso di libertà e di spazio, alla ricerca di nuovi orizzonti.

Fiorella Avalle Nemolis

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