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Mio papà, giovane combattente e pittore da pensionato ad Alba

ALBA

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TERESIO ASOLA - Papà era andato giovane in pensione nel '79 a cinquantacinque anni, grazie a un abbuono di otto anni come ex combattente. (Non so perché otto, visto che l’odissea in divisa, fra addestramento, combattimenti, prigionia e collaborazione con l’esercito statunitense, gli era durata solo tre e mezzo.)

Responsabilità, oneri e mal di fegato, non proporzionali se non in misura inversa a onori e stipendio da comunale, lo avevano fatto andare contento, in pensione. Anni prima i mal di pancia gli avevano fatto rimpiangere di non aver accettato, giovane, di espatriare in Germania per la fabbrica del cioccolato.

Poco prima di andare in pensione la Giunta propose un premio, poi osteggiato da sindacato e opposizione. Non se ne fece nulla e papà abbandonò il lavoro che tanto gli piaceva ma che ora lo logorava. Rischiare va bene, esagerare, no. Se ne andò come quando, puntatore del cannone in Tunisia, implorò i compagni di desistere dallo sparare per salvare la pelle. La salvò solo lui. Non fu una fuga (quella in Africa, come ad Alba il pensionamento) ma in ambo i casi un ripiegamento per sopravvivere.

Però era ancora giovane. Si domandò allora se continuare a lavorare come professionista («che ne dite se progetto tombe di famiglia?» propose, e si iscrisse così all’albo geometri per un anno), oppure gestire un’edicola di giornali perché gli piaceva leggere, o altro che non si era ancora ben chiarito ma che aveva qualcosa a che vedere con la pittura e il disegno.

Nel frattempo, s’era comprato la bici da donna di seconda mano che poi usai io. In più, s’era fatto regalare da mamma per Natale una scatola di colori a olio e due pennelli. «Per dipingere paesaggi e case, ché io mica sono buono a raffigurare le persone» amava dire. Quando ne doveva dipingere una, la tratteggiava di schiena o in lontananza.

TERESIO ASOLA

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