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Il braidese Michelino Davico racconta 10 anni di politica a Roma

BRA

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Dieci anni a Roma. Abbastanza per poter raccontare attendibilmente uno dei momenti più convulsi del mondo della politica italiana, “romana” e non, con un filo diretto che oscilla tra il pubblico e il privato e che va oltre l'immagine consunta del “teatrino” del nostro Parlamento.
 
Scorrono facili ma non banali le 176 pagine di «Senza casta», il libro delle edizioni Martini scritto da Michelino Davico, classe 1961, unico senatore piemontese, che ha rapresentato il Paese condividendo spesso idee e programmi lontano dal populismo, a cominciare dalla Dc da amministratore di Bra, eletto con la Lega e poi trasmigrato nel Gruppo parlamentare Gal dove è Moderato); una circostanza che non contraddice, com'è consuetudine italica, la serietà con cui l'autore di "senza casta" ha cercato di svolgere il proprio incarico, partendo dalla Granda, per la quale conserva una passione che infiltra l'intera opera.
 
E, tuttavia, anche da sottosegretario, quando scorta e auto blu lo hanno proiettato nel mondo degli «eletti fra gli eletti», quella leggera ironia sabauda, fortificata dalla “forma mentis” dei Salesiani, ha impedito un'immedesimazione nel ruolo, spesso esemplificativa della scadente personalità di molti politici. Un'esperienza di vita, quella data dalla frequentazione delle scuole dei Salesiani fino alle superiori, che è proseguita senza soluzione di continuità passando dall'altra parte della barricata a insegnare, cercando di dare un’opportunità ai giovani più «difficili».
 
Un compito, il suo, svolto con discrezione, senza clamori e senza nascondere i privilegi che accompagnano - inutile negarlo - la vita del parlamentare : partendo dallo stipendio - il libro si conclude con una appendice dove il senatore Davico si fa i conti in tasca - per finire  all’opportunità di viaggiare gratis, su treni e aerei, in tutto il territorio nazionale.
 
Privilegi che devono trovare da contraltare la responsabilità nel lavoro da fare : gli uni senza giustificazione nell’altra farebbero «casta». E, scrive Davico, «io non sono la casta», in contrasto stridente con chi fa dell'essere “anticasta” una disciplina - spesso smentita dai fatti - di partito piuttosto che una qualità personale. 

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