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Legge elettorale: la Corte costituzionale è stata chiara, ma ora tocca alla politica

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ANDREA PORRO - La Corte Costituzionale, nonostante le numerose pressioni politiche, è addivenuta alla decisione nel merito sulla legge elettorale per la Camera dei Deputati - il c.d. Italicum -, diffondendo un comunicato stampa che anticipa la tanto attesa pronuncia.

La politica italiana è rimasta sospesa fino a quella data e le voci di una qualche iniziativa legislativa - per una legge elettorale unitaria ed omogenea per la Camera dei Deputati ed il Senato della Repubblica -, prima della pronuncia dell’organo di garanzia costituzionale, sono sempre apparse flebili.

Nel frattempo, non ancora smaltito l’impatto della bocciatura del referendum costituzionale del novembre 2016, le riflessioni si sono intrecciate con i desiderata della politica e con i rumours della Consulta, così rendendosi opportuno un comunicato stampa appena assunta la decisione.

Molti hanno auspicato un passo indietro della Consulta rispetto alla precedente sentenza n. 1/2014 - relativa alla legge elettorale vigente per la Camera dei Deputati -, con una drastica sentenza di inammissibilità, così da lasciare nuovamente alla politica gli spazi ad essa più confacenti.

Tuttavia, è evidente che princìpi costituzionali attinenti la legge elettorale possono e debbono esserci, anche se il sistema proporzionale non è costituzionalizzato: coerenza, proporzionalità e ragionevolezza, infatti, sono princìpi che interessano tutta l’attività legislativa, senza eccezioni.

Inoltre, non avrebbe avuto senso che la Consulta non avesse collaborato, per quanto di sua competenza, con il sistema politico in una fase così delicata, nonostante il possibile ed ulteriore abbassamento del livello di responsabilità della classe politica.

Infine, un eventuale passo indietro della Consulta - eventualmente motivato sulla irrilevanza della questione in ragione della mancata applicazione della legge - non avrebbe dato alcuna garanzia sulla irreversibilità di tale scelta, con il conseguente rischio di esposizione ad un giudizio di costituzionalità postumo.

Nella fattispecie, la Consulta si è pronunciata sulle questioni che derivano direttamente dalle statuizioni della precedente sentenza 1/2014 e, quindi, in particolare, sul ballottaggio, sul premio di maggioranza, sul capilista bloccati e sulle pluricandidature, nonché sulla disomogeneità tra le leggi elettorali vigenti.

In particolare, sembrerebbe esente da vizi di legittimità costituzionale il sistema dei capilista bloccati, mentre è stato censurato il meccanismo delle pluricandidature senza criteri di scelta per l’opzione, ritenendo applicabile il criterio residuale del sorteggio.

La questione più delicata è quella della omogeneizzazione delle due leggi elettorali - continuamente invocata dall’attuale Presidente della Repubblica e già Presidente della Corte Costituzionale -, ma in merito occorre sicuramente attendere le motivazioni della sentenza della Consulta.

La disomogeneità sarebbe rinvenibile nella presenza di sistemi elettorali fondati l’uno - al Senato - su un unico turno di votazione, senza premio di maggioranza, e l’altro - alla Camera - su un turno di ballottaggio accessibile alle due liste più votate non raggiungenti il 40% dei voti al primo turno.

In questa situazione, la disomogeneità di struttura delle leggi elettorali avrebbe creato un effetto di trascinamento del voto del Senato sul secondo turno per la Camera, con conseguente violazione della libertà del voto (art. 48 Cost.) e del ruolo dei partiti (art. 49 Cost.).

E la Consulta ha rigettato la questione di legittimità costituzionale relativa alla previsione del premio di maggioranza al primo turno, accogliendo invece la questione di legittimità costituzionale relativa alla previsione del turno di ballottaggio.

Il carattere proporzionale della legge elettorale del Senato non impedisce la formazione di una maggioranza governativa, la quale potrebbe costituirsi eventualmente allargando la maggioranza formatasi alla Camera grazie al premio a quei gruppi il cui voto è coerente con la maggioranza del Senato e necessario per raggiungere la quota di sopravvivenza del Governo.

Non vi sarebbero vizi nemmeno sotto il profilo della distorsione del princìpio di rappresentatività, giacché il limitato premio di maggioranza porterebbe i gruppi che hanno già ottenuto una soglia di voti importante ad una soglia tale da garantire una governabilità adeguata.

Permangono, quindi, differenze tra la legge elettorale della Camera e quella del Senato, così come modellate dalla Consulta, ma questa situazione è stata vissuta dal sistema politico italiano sin dal 1948, con riferimento - per il Senato - all’elettorato attivo (25 anni) ed all’organizzazione (su base regionale).

La soluzione adottata dalla Consulta pare avere un suo equilibrio istituzionale: permette, infatti, di non interrompere un percorso maggioritario che ha iniziato ad affermarsi in Italia, ma - nell’attuale condizione di un bicameralismo non tramontato - lo tempera e lo modera.

Per ovvie esigenze di sistema, la pronuncia della Consulta è di immediata applicazione, così da sopperire all’eventuale inerzia del Parlamento, non essendosi limitata al monito dello stesso Parlamento, per evitare i rischi di un legislatore in affanno alla ricerca di un nuovo sistema elettorale, pur non escluso.

Nonostante la posizione della Consulta - ai confini tra il costituzionalmente dovuto ed il politicamente opportuno -, rimane comunque ferma la scelta politica del Parlamento di decisione sulla conclusione, naturale o anticipata, dell’attuale legislatura.

Andrea Porro

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