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Boves: "Ricordiamo il sacrificio dei nostri nonni nella Grande guerra di un secolo fa"

CUNEO

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"Quasi un cinquantennio fa, quando i postini usavano ancora la bicicletta, mi fu recapitata la cosiddetta cartolina militare, che diceva "Destinazione Pontebba". Portavo la camicia a fiori, capelli lunghi, pantaloni a zampa di elefante. Erano gli ultimi anni dei "figli dei fiori", ma pure l’inizio degli attentati, anche in Tirolo.

Ero destinato a diventare artigliere alpino della Julia, conducente delle Jeep a pelo, ovvero dei muli. Anche mio nonno aveva fatto il militare in quella caserma. Me lo raccontò la vicina, Lorenzina, commossa: lei leggeva le lettere che lui inviava, essendo i miei nonni analfabeti. Per questo ne conservava ricordo. Mal sopportavo la divisa, in compenso amavo, come oggi, le montagne.

Orgoglio militare, forse un po' lo sentivo. Un brivido lo provai al Sacrario di Redipuglia, partecipando al picchetto per i caduti, durante l’Adunata nazionale alpina di Udine. Fui fiero di aver contribuito a portare il tubo-obice sul monte Biverac, come per le escursioni sui monti di Sappada, alle sorgenti del Piave...

Questa è la mia piccola storia, quella grande l’hanno fatta gli altri: fanti, bersaglieri, alpini, genieri, artiglieri. A decine di migliaia, su quelle colline, andando ad ondate, a dar "spallate", come diceva il generalissimo Cadorna, contro il fronte nemico, per allargare i confini della patria, sin alla disfatta di Caporetto, alla vergogna.

Vergogna per l’incapacità e l’incompetenza dei comandi, "Generalissimo" in testa, rovesciata, con accuse di codardia, dagli ufficiali sulla truppa, provata da mesi di guerra nelle trincee, falcidiata da malattie ed obici, non sempre solo austriaci, infine circondata ed obbligata ad arrendersi...

Centomila furono i prigionieri dopo Caporetto abbandonati a se stessi, con governo e stato maggiore che facevano il possibile per impedire che arrivasse loro ogni assistenza. Milioni di pacchi furono fatti marcire nei magazzini: dovevano pagare la loro "vigliaccheria".

A qualcuno dei partecipanti ai raduni alpini interessano le vicissitudini di chi ha vissuto la guerra e vi è morto. Si possono porre domande dopo cento anni? Si possono avere risposte? Ormai, tanto, i responsabili sono morti. Mio nonno è stato ucciso in combattimento o lasciato morire, di stenti (anche le popolazioni di Austria e Germania vivevano attanagliate dalla fame), in prigionia, con quei centomila?

In tutte le città vi sono monumenti ai caduti della guerra 1915-1918, la "Grande Guerra". Sono i nostri nonni, i nostri parenti, non vi interessa sapere? Sono stati pubblicati interessanti libri (citerei «Prigionieri dimenticati» di Giovanni Re o «Taccuino di Caporetto» di Carlo Emilio Gadda).

Se non vi è interesse si può continuare a fare le adunate, che restano momenti di aggregazione, di socialità, di goliardia, per allungare le gambe sotto il tavolo con un bicchiere di vino in mano, che non fa male...".

Sandro Dutto, Boves

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