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E poi leggi su Vietnam News che i giovani italiani partono "perché da noi non c'è meritocrazia"

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TERESIO ASOLA - È sera, ad Hanoi. Rumore e gas di motori sembrano soffocare i fiori rossi e il ponticello di uguale colore sul lago. I sei milioni di scooter di questa metropoli di nove milioni sembrano essersi dati appuntamento per seguirti e tentare il gioco di mancarti miracolosamente quando cerchi di attraversare la strada.

"Guarda bene negli occhi chi si avvicina e poi tira dritto senza mai fare un passo indietro", ordina lieve nella vocina graziosa da vietnamita la tua giovane, piccola guida. I tuoi occhi annebbiati dal sudore ricambiano il suo sorriso. Lei ti spiega che è inutile cercare le strisce pedonali. "Attraversa deciso", ti soffia in un orecchio mentre squadri l'esercito di scooterosti, molti con l'elmetto da Vietcong a mo' di casco.

Racconta al tuo sguardo fisso sulle famiglie sedute a mangiare zuppe su seggiole basse ai bordi della strada, che le case sono piccine e i tavoli minuscoli, e loro vivono in tante famiglie nel medesimo appartamentino minuto, alcuni di essi in antichi templi cinesi. Capisci che non corre buon sangue con Pechino. Sussurra, la ragazza vietnamita, che a scuola insegnano l'inglese e non il mandarino. T'indica un altro tempio cinese, trasformato in scuola elementare: un gruppo di bambine provano una danza accompagnate da musica, rossa fin nelle note.

Commenta melodiosa, la piccola guida vietnamita, che le bimbe cantano e ballano per il settantesimo anniversario della nazione che ricorrerà tra pochi giorni, come indicano i manifesti rossi e gialli, precisi a quelli della Rivoluzione culturale dei cugini cinesi, parenti troppo prossimi perché possano amarsi. E ti spiega che le voci accompagnate da musiche marziali che escono dagli altoparlanti strangolati da grovigli di cavi sono i notiziari.

La sera capiti nella bottega di un sarto: tua moglie cerca per tua figlia un abitino che le dia la grazia di queste donnine dal fisico gracile. "Io sono un pittore" dice lui. "Disegno, poi taglio il vestito. Infine mia moglie ricama". Indica una donnina intenta ad ago e fio, seduta su uno sgabello. Poi si mette a cantare qualcosa che sembra Scarborough Fair ma che ovviamente non è. Tua moglie tocca le stoffe, esamina i ricami, mentre tu e tuo figlio sorvegliate il sorriso del pittore sarto cantante vietnamita. Tua moglie chiede, lui risponde e si rimette a cantare, come non interessato a vendere.

Esci e quasi scavalchi un giovane, accovacciato di fronte a un fornello a bruciare banconote false per i defunti. Pensi, allora, alle tombe sparse nelle risaie, che hai visto nella campagna attorno alla capitale. La sera, in hotel, ti tocca leggere su "Vietnam News" un articolo sui giovani italiani che partono "perché da noi non c'è meritocrazia". Bravi ragazzi, cantate anche voi la vostra libertà.

Teresio Asola

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