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Dopo il rinvio dello ius soli anche a Cuneo chi ci rimette sono i figli degli immigrati

CUNEO

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PIERCARLO BARALE - Il provvedimento del premier Gentiloni di rinviare all'autunno lo "ius soli" pare opportuno e condivisibile. Non ci sono, al momento, i voti per approvarlo. Inoltre, le minoranze, in blocco, hanno espresso la loro fermissima opposizione. Più che queste argomentazioni, hanno giocato altri fattori, conseguenti al flusso di migranti, che prosegue senza soste, con numeri sempre maggiori.

Dal sud al nord si moltiplicano le proteste dei sindaci, contrari all'ospitalità, anche temporanea. I primi cittadini contestano, in particolare, i provvedimenti prefettizi, tendenti ad individuare le località per i soggiorni. E' comprensibile la levata di scudi dei sindaci, che contestano allo Stato l'incapacità di organizzare l'accoglienza dei flussi costanti, fenomeno epocale, ma ormai divenuto stabile.

Grava come un macigno l'abbandono dell'Italia da parte degli altri partners europei, Francia in testa. Questo menefreghismo europeo suona assai stonato a fronte dell'impegno profuso dal nostro Paese, contestato dalle destre con toni divenuti minacciosi. Si è creata un'atmosfera di sospetto anche nei confronti delle Ong, che concorrono al salvataggio, riversando ogni giorno migliaia di migranti nei nostri porti.

In questo contesto di saturazione della nostra proverbiale disponibilità all'accoglienza, per essere stati lasciati soli nel gestirla, appare opportuno il differimento della discussione della Legge sulla cittadinanza. Potrebbe essere scambiata - in caso di approvazione - come ulteriore rafforzamento delle speranze dei migranti di poter regolarizzare la loro posizione, sbarcati dai soccorritori.

All'Africa, desiderosa - in gran parte - di trasferirsi in Europa, non pare opportuno offrire questa ulteriore speranza, a fronte di una realtà del tutto diversa da quella immaginata. L'Europa non è più il paese del bengodi, dove abbondano telefonini ed automobili e c'è lavoro per tutti. I gruppi familiari, che provvedono a pagare gli scafisti ed i loro emissari, raccoglitori degli aspiranti migranti, si attendono ritorni di denaro e beni simbolo del benessere, dagli ospiti dei barconi.

Dal momento che il viaggio di avvicinamento alla Libia e poi l'attesa dell'imbarco dura parecchi mesi, se si vuole cercare di limitare gli afflussi, è necessario inviare, con urgenza, messaggi della reale situazione che i migranti troveranno, dopo fatiche, spesso rinunce ed anche percosse o torture, al loro arrivo in Italia o Grecia.

Dovrebbero essere comprese le effettive realtà che queste persone troveranno. Si affidano a delinquenti, li pagano profumatamente e spesso ne restano vittime, perdendo la vita nella fortunosa traversata. Dopo anni di descrizioni positive della realtà, che i migranti troveranno in Europa, occorre far pervenire, nei villaggi del Sudan, Nigeria, Mali, Ghana ed altre realtà africane, le reali condizioni che troveranno coloro che si accingono a partire.

Occorre inoltre - come avviene in Spagna per gli immigrati marocchini - cercare di riportare alla partenza i migranti economici, una volta accertato che non hanno veste da profughi. Succede così che il nostro Paese si trova percorso da migliaia di immigrati irregolari, senza lavoro, senza quattrini e nella impossibilità di lavorare, sempre che ne abbiano desiderio.

Sarebbe opportuno, nei confronti dei partners europei, dare segnali chiari della nostra futura indisponibilità a continuare nell'accoglienza come attuale, senza mendicare compensazioni in denaro o accettazione di nostre ipotesi di aumenti del deficit di bilancio. In assenza di modifiche all'attuale normativa - da noi incautamente accettata con l'operazione Triton - che prevede l'obbligo di accoglienza di tutti i migranti nei nostri porti, potremo minacciare di chiuderli a partire dal 2018.

Avevamo accettato l'onere dell'accoglienza generale, sul presupposto che i migranti sarebbero stati ridistribuiti nell'intera Europa, ma così non è avvenuto. Ne consegue che l'accordo è nato con un vizio originario da parte degli altri contraenti, che hanno promesso, ma non mantenuto, l'obbligo di accoglienza, mentre noi abbiamo onorato l'impegno del salvataggio e dell'accoglienza di tutti.

Minacciare, con congruo preavviso, l'uscita da Triton e dall'obbligo di accoglienza globale, porrebbe l'Europa nella necessità di attivarsi senza fregarsi le mani, come sta facendo, mentre, da noi, le posizioni delle minoranze diventano condivise. Per ora, chi ci rimette sono i figli degli immigrati, che studiano e giocano con i nostri figli, senza essere riconosciuti italiani ad ogni effetto.

Piercarlo Barale

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