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"Ciao mamma, ora dall'ospedale di Alba hai raggiunto papà, il tuo uomo!"

ALBA

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TERESIO ASOLA - Non ci sei più, mamma, da questo venerdì 17 novembre. Sono contento di averti dato una carezza, ancora, a notte fonda mentre dormivi affannosa nel letto di ospedale nella tua Alba.

Impossibile svegliarti, ti ho sfiorato la mano e la fronte. Avevi una pelle morbida e umida come un bimbo. Forse eri di nuovo una bimba: un angelo, già in volo mentre raggiungevi papà, il tuo uomo. Te le dovevo, quelle carezze.

Dovevo ricambiare i saluti che hai rivolto a me e mia sorella per ore il giorno prima al Pronto Soccorso, tu e i tuoi tubicini che ti volevi strappare di dosso e il respiratore che non ti permetteva di parlare: ci disegnavi cuori ad ampi gesti delle braccia e ci lanciavi baci a due mani, mentre ci sgridavi sgranando gli occhi perché rimanevamo lì, e ripetevi scuotendo il capo perché non capivamo, la voce bloccata dalla maschera: «Mi fai un dispiacere grandissimo a rimanere» continuavi a dirmi, e «hai una famiglia, vai a casa».

Una mamma è per sempre: anche in punto di morte proteggevi i tuoi figli: ancora, come se avessimo 10 anni, non 57 e 61. A casa mia sorella e io non ci siamo andati, accontentandoci di rimanere nel corridoio del Pronto Soccorso, dal quale sorvegliavamo i tuoi movimenti per riapparire al bisogno e sentirci rimproverare ancora per non essere a casa dai nostri figli. Con le mani ci facevi segno, ancora, di andare da loro.

E baci, ancora, e cuori grandi come il tuo da te disegnati a fatica con le braccia nell'aria dell'ospedale. Noi ti rassicuravamo, ancora, «sì, sì, ciao», e poi però non ti ubbidivamo. Con quelle mani, ora, prendi la mano di papà, e ci proteggi da lassù. Ciao, mamma. E scusa, ancora, se ti ho fatta diventare personaggio di un romanzo su Alba, tu così restia ad apparire.

Teresio Asola

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